martedì 22 agosto 2017

NOTE SUI SIGNIFICATI DI “LIBERTÀ” nei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel*- Vladimiro Giacché**

*Da:  Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, 1990, n. 2.   **Economista italiano, laureato in filosofia 
Leggi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/totalitarismo-triste-storia-di-un-non.html 

1. Premesse generali

Negli ultimi anni, dopo decenni di preminente attenzione alle implicazioni della filosofia hegeliana del diritto sul terreno delle dottrine politiche e delle teorie della società, il panorama delle interpretazioni è venuto gradatamente mutando. Volendo dare conto delle principali novità interpretative, se ne possono indicare in particolare due: da un lato l’accresciuto interesse per il rapporto tra i Lineamenti di filosofia del diritto e la Scienza della logica e nei confronti di quelle che potremmo definire come le “costanti logiche” che operano all’interno della filosofia hegeliana del diritto i; dall’altro, il tentativo di leggere i Lineamenti hegeliani sul metro di una filosofia dell’azione, cercando non di rado di porre il pensiero di Hegel a confronto con i più recenti indirizzi teorici, manifestatisi soprattutto in ambito anglo-americanoii. Per motivi in parte differenti, entrambe queste nuove e feconde direzioni di lettura hanno portato con sé la necessità di fare i conti, più seriamente che in passato, con i paragrafi introduttivi dei Lineamenti (§§ 1-32), nei quali Hegel ci offre, come recita l’indice dell’opera, il “concetto della filosofia del diritto, del volere, della libertà e del diritto”. Per chi voglia, più in particolare, trattare la concezione hegeliana della libertà del volere, l’esigenza di affrontare direttamente i nodi teorici e le distinzioni di significato proposte nei primi paragrafi dei Lineamenti è sicuramente ineludibile. Nelle prossime pagine, dopo aver dedicato qualche breve considerazione ad alcuni princìpi e postulati generali di particolare rilievo per la trattazione hegeliana di questo tradizionale tema metafisico, tenterò appunto di mostrare come l’introduzione ai Lineamenti definisca la cornice teorica all’interno della quale si situano le                                                                                                          riflessioni dedicate al problema della libertà nel corso dell’opera.

Per un primo avvicinamento alla trattazione hegeliana della libertà appare utile rifarsi innanzitutto ad alcuni generali presupposti metodici ed ontologici che caratterizzano la posizione del filosofo tedesco:

1.1. Il rifiuto del metodo definitorio: significato ed applicazioni di un concetto non possono dedursi semplicemente da alcune definizioni iniziali; per quanto riguarda il tema della “libertà”, questo rifiuto si traduce nell’affermazione secondo la quale “che la volontà è libera e che cosa è volontà e libertà - la deduzione di ciò può trovar luogo... unicamente nella connessione dell’intero” (Lineamenti § 4 A; cf. § 2, A).

1.2. A quel primo presupposto metodico ne va aggiunto uno di carattere ontologico, consistente nel concepire il reale come ordinato secondo una scala ascendente di livelli di perfezione (Hegel parla a questo proposito di “adeguatezza tra concetto e realtà”, e di “verità”); tale assunto si traduce, sul piano del metodo, in una sorta di

1.3. principio di retrospettività, per il quale l’ultimo significato di un termine nell’ordine dell’esposizione è primo per importanza, e ad esso vanno commisurati i precedenti.

I tre punti ora richiamati convergono nel conferire ai testi hegeliani una delle loro caratteristiche più appariscenti: il mutamento di significato delle nozioni decisive (facendo riferimento anche al frequente utilizzo hegeliano di termini come soggettività, libertà, infinità, verità, autofinalità in qualità di sinonimi si potrebbe esprimere in forma paradossale questo aspetto dicendo che in Hegel molti termini-chiave posseggono un solo significato, ed ognuno ne ha molti).

1.4. Un ultimo presupposto da menzionare è infine il monismo, come esigenza di un legame interno nello sviluppo delle determinazioni: per esso è necessario che ogni determinazione fondamentale mantenga un nucleo di significato comune a tutte le sue accezioni (l’espressione più importante di questa esigenza consiste, come è noto, nel tentativo di mostrare il “concetto” della Scienza della logica come sviluppo-arricchimento dell’“es­sere”).

Per quanto riguarda il concetto di “libertà”, due problemi balzano immediatamente agli occhi in relazione ai presupposti sopra menzionati: 

a) se termine di paragone della “libertà” è il suo compimento, il suo “concetto sviluppato”, qual è però questo realmente? La libertà quale si realizza all’interno dell’eticità (la libertà dello “spirito oggettivo”) o la libertà consistente nella contemplazione filosofica (ossia la libertà dello “spirito assoluto”)? E ancora: è possibile gettare un ponte tra questi due significati, evitando al contempo di identificare “Weltgeist” e “spirito assoluto”? Il tentativo di dare una risposta a questi interrogativi - altrimenti formulabili nel problema della priorità tra “Wissen” e “Wollen” - domina larghissima parte della letteratura critica e non potrà essere oggetto del presente lavoro.

b) Un secondo problema riguarda il solo terreno dello “spirito oggettivo”, ed è la domanda a cui queste pagine tentano di dare una risposta: è possibile accertare, all’interno della Filosofia del diritto, la presenza di un nucleo unitario di significato della nozione di “libertà”, oppure tale termine è sottoposto a tensioni irresolubili nel mutarsi delle sue accezioni? 

2. I tre significati di libertà” nell’introduzione ai Lineamenti

È possibile considerare i paragrafi introduttivi dei Lineamenti come accesso privilegiato alla teoria hegeliana della libertà. In essi, infatti, troviamo per un verso compendiati i risultati principali dello “spirito soggettivo” in ordine alla questioneiii; d’altra parte - questo è facilmente accertabile anche solo in base ai riferimenti interni all’opera - l’introduzione contiene le grandi linee di sviluppo di ciò che segue nel testo del 1821. Per quanto riguarda la libertà, i suoi tre principali significati costituiscono l’oggetto principale dell’introduzione. Possiamo anticiparli in questi termini:

(1) Libertà in sé (an sich)1: autorelazione, universalità astratta dell’auto­coscienza (essa occupa una posizione ambigua, tra pensare e volere).

(2) Libertà in sé2: movimento di attuazione della volontà (infinito secondo la forma), azione diretta ad un fine in generale. Da un punto di vista formale la libertà in questo secondo significato ha come momenti, accanto alla a) autoriflessione-indeterminatezza iniziale [=(1)], la b) “Selbstbestimmung” e c) il conseguimento del fine tramite l’appropriazione ed elaborazione del mezzo. In relazione alla trattazione dei Lineamenti, essa comprende il “Tun” del diritto astratto e la “Handlung” della moralità.

(3) Libertà in sé e per sé (an und für sich): ha attuazione nell’azione etica, è volontà infinita secondo forma e contenuto, volontà che vuole se stessa in quanto sistema razionale, seconda natura. Essa culmina, non da ultimo in base all’educazione all’universale ed all’affinamento degli impulsi (“Triebe”) che ha luogo nella “società civile”, nella “disposizione d’animo politica” (“politische Gesinnung”).

2.1. La libertà in sé1

(1) Il primo significato di “libertà” coincide con la pura indeterminatezza iniziale del volere, con la autorelazione astratta dell’autocoscienza. Tale universalità iniziale dell’io secondo Hegel può essere rinvenuta nell’autocoscienza personale di ognuno nella forma della (a) possibilità di astrazione da ogni contenuto, della (b) autodeterminabilità, capacità di porre in sé ogni contenuto (la quale è pendant positivo del momento precedente), della (c) possibilità di contenere l’esempio per le ulteriori determinazioni (§ 4 A).

Nel paragrafo seguente tale “pura indeterminatezza o... pura riflessione dell’io entro di sé” (§ 5) è definita in termini negativi: come libertà “negativa”, “dell’intelletto”, “del vuoto” (§ 5 A), e ancora come “determina­zione unilaterale assolutizzata dall’intelletto”iv. Più avanti Hegel ci dirà che questo primo momento non coincide propriamente con la volontà, la quale è unità di esso e della “Selbstbestimmung” (§ 7); anche nella trattazione dei momenti dell’azione offerta nella Scienza della logica essa è appena menzionata per scomparire di fatto nel corso dell’argomentazionev.

Di più: nella misura in cui Hegel pone l’accento sul secondo momento del volere, quello della decisione e dell’auto­determinazione, l’universalità iniziale sembra addirittura non far parte della volontà in senso proprio; in particolare l’Annotazione al § 13 A (corrispondente ad E § 469, A) ci offre uno schema parallelo ai tre significati di libertà, ritagliato però sul rapporto tra “Denken” e “Wollen”: in esso ad (1) corrisponde l’univer­salità astratta del pensiero, a (2) il volere, come particolarizzazione e decisione alla finitezza, a (3) l’univer­salità concreta, “ricca”, ossia la volontà elevatasi nuovamente al pensiero dando ai suoi scopi “univer­salità immanente”, togliendo la differenza di forma e contenuto, facendosi dunque “volontà oggettiva, infinita”vi.

Ma a ben vedere, proprio questa corrispondenza del primo momento del volere col pensare ci autorizza ad ammettere un suo significato autonomo all’interno della teoria hegeliana della libertà; l’autorelazione nella forma del pensiero, dell’universalità è infatti il tratto che caratterizza inizialmente la libertà umana rispetto all’autorelazione nell’ambito dell’organi­co, ove essa non giunge oltre la forma del “Selbstgefühl”vii e della “Empfindung” del genereviii.

2.2. La libertà in sé2

(2) La volontà in senso proprio comprende l’universalità iniziale più il movimento della sua autodeterminazione (§ 7). Nel consueto schema hegeliano essa è identificata con la “individualità” o “soggettività”ix consistente nel ritorno dell’universale in sé (1) dal (o nella sua permanenza nel) particolare (ossia l’auto­determina­zione del volere).

Il momento della particolarità risulta decisivo nel modello hegeliano; esso è chiaramente distinto da (1), che ne è l’“in sé” (§ 6 A), e solo a partire da esso si può parlare di volontà in senso proprio. Basti, al proposito, confrontare la nota autografa di Hegel al § 6 (“io non voglio semplicemente, ma voglio qualcosa”: HW VII, 53), e la formulazione riportata nella Nachschrift di H.G. Hotho: “una volontà che non decide nulla, non è realmente tale [ist kein wirklicher Wille]x. È interessante notare come ad Hegel sia del tutto indifferente che il contenuto di questa “Unterscheidung”, di questo “Bestimmen” sia “dato dalla natura o prodotto dal concetto dello spirito” (§ 6; cf. A)xi: ciò che conta, infatti, è che esso, a questo livello della “libertà”, sia comunque immediato (§ 35)xii.

Tentando di riassumere in una formula il significato della libertà del volere che è qui in gioco, si potrebbe parlare di “permanenza presso di sé nella determinazione, a prescindere dai contenuti della medesima”. L’in­dagine del movimento della volontà che viene attuata in questi primi paragrafi dei Lineamenti non differisce nella sostanza dallo schema dell’azione conforme a un fine che ci viene offerta nella Scienza della logicaxiii: il volere ha la forma dello scopo (§ 8, Hb.), prima semplicemente presente alla rappresentazione, poi realizzato nell’oggettività (§ 9); la forma dello scopo rappresenta qui l’unità dell’io, della coscienza, un’unità superiore alla astratta autoidentità dell’universalità iniziale del volere (cf. § 109), benché ancora formale.

In questo paragrafo ho adoperato i termini “volontà” e “libertà” come sinonimi: tale uso mi pare giustificato dal testo hegeliano, nel quale la “libertà” non è un semplice attributo della “volontà”, bensì la sua propria “sostanza e determinazione” (§ 4, cf. § 7), non qualcosa che essa abbia, ma ciò che essa è xiv. Potremmo parlare di un convergere dei due concetti verso un comune significato, in quanto Hegel da un lato non considera la libertà una determinazione di stato, dall’altro non ritiene la volontà distinguibile dall’operare e dall’agire: ha così luogo la doppia equivalenza: “libertà = (movimento di attuazione della) volontà = movimento del­l’azione”.

2.2.1. I limiti della libertà in sé2

Nei §§ 10-15 Hegel sviluppa una critica serrata alle posizioni che esaltano la semplice eccellenza formale del volere nella sua distinzione dall’immediatezza del contenuto; proprio questa non corrispondenza di forma e contenuto denuncia anzi, secondo Hegel, l’imperfezione (Hegel dice “non verità”: § 10 A) della volontà soltanto “in sé, ovvero per noi,...nel suo concetto” (§ 10)xv.

Per poter esaminare le argomentazioni di Hegel contro la volontà libera in sé e l’arbitrio, è però necessario risolvere un problema posto dalla partizione che troviamo in Rph § 21 A: qui, infatti, Hegel ci offre una ulteriore suddivisione della (2) “libertà in sé2” in (a) “autocoscienza del volere” e (b) “volere riflettente”; ad essa corrisponde la partizione contenuta nelle Nachschriften di Hotho e Griesheim, in cui Hegel parla di (a) “vo­lontà naturale” (§§ 11-13) e (b) “volere riflettente” (§§ 14-20, da “scelta” e “arbitrio” in poi)xvi. La ragione di questa ulteriore divisione dell’ambito della “libertà in sé” - meno chiara nel testo a stampa - è facile a comprendersi: si tratta dell’esigenza di far corrispondere in maniera precisa a questi paragrafi dell’introduzione le azioni che si svolgono nell’ambito del diritto e della moralità. Con tutto questo, i tratti in comune tra “volere del diritto” e “volere della moralità” permettono di collocarli sotto una stessa designazione generale: permane infatti, nello sviluppo dall’uno all’altro, la esteriorità di forma e contenuto, cosicché il massimo a cui si può giungere nel loro ambito è un criterio estrinseco di scelta tra gli impulsi; oltre a ciò, nella stessa “Kurzfas­sung” che troviamo a margine della Nachschrift di Hotho (basata forse su un Repetitorium del von Henning) la “Willkür” inizia al § 11 (III, 127), quasi ad indicare la impossibilità di segnare un confine netto tra i due tipi di “libertà in sé2”, e di assegnare l’arbitrio al solo “volere riflettente”.

Vediamo ora le critiche di Hegel all’esaltazione della “libertà in sé2”, a partire dalla lettura delle argomen­tazioni conclusive di Rph § 10 A:

L’intelletto si ferma al mero esser in sé [Ansichsein] e denomina così la libertà, secondo questo esser in sé, una facoltà, com’essa d’altronde, in tal modo, di fatto è soltanto la possibilità. Ma esso riguarda questa determinazione come assoluta e perenne e assume la di lei relazione con quel ch’essa vuole, in genere con la di lei realtà [Realität], soltanto per un’applicazione a un materiale dato, la quale non appartenga all’essenza della libertà stessa; esso ha in questo modo a che fare soltanto con l’astratto, non con l’idea e verità della libertà”.

Il nucleo del ragionamento hegeliano è così esprimibile: la libertà non consiste in una facoltà, da cui possa separarsi l’applicazione come un elemento contingente: la libertà - sia essa (2) “an sich” o (3) “für sich” - è sempre volontà che si porta ad effetto (si veda, nel testo sopra riportato, in particolare l’equivalenza tra “quel ch’essa vuole” e “la sua realtà”); forma e contenuto del volere non sono scindibili, né sul piano normativo, né su quello descrittivo: in altre parole, non solo non devono essere distinti, ma non lo sono mai.

Vediamo i due aspetti di questa non separabilità:

a) Forma e contenuto non devono essere distinti: alla base di questa posizione normativa sta un assunto di valore, ossia che vera libertà (“libertà in sé e per sé”) si ha soltanto ove il contenuto sia degno della forma, ove la libertà abbia se stessa ad oggetto (il compito precipuo della sezione “eticità” dei Lineamenti consiste appunto nel precisare cosa questo significhi).

b) Forma e contenuto del volere non sono mai (non possono essere) distinti. Più precisamente, la volontà è inevitabilmente determinata dal contenuto nel momento stesso in cui essa si “autodetermina”, ossia comincia a darsi realtà. Nel momento della scelta, infatti, i confini della stessa (ossia l’ambito di ciò che può essere scelto) costituiscono l’universalità della volontà-libertà, ne determinano il significato. Questa posizione è condotta da Hegel alle sue estreme conseguenze in § 17 Z, ove leggiamo che nel soddisfare un “Trieb” (contro e invece di altri) ha luogo una “zerstörende Beschränktheit” in quanto è così abbandonata la “universalità, ...che è un sistema di tutti gli impulsi”xvii. Nel passo citato vediamo sovrapporsi sino a coincidere la universalità formale della volontà (la libertà di scegliere, ossia la possibilità di “far quel che si voglia” di § 15 A) e la totalità, l’insieme dei contenuti effettuali, presenti alla coscienza - e qui ancora naturali e immediati - tra i quali la scelta può aver luogo. Questo aspetto del discorso hegeliano permette di situare la teoria della libertà esposta nei Lineamenti tra quelle che non si limitano ad identificare “libertà” e “spontaneità” (ossia “assenza di costrizione”), ma vi affiancano la nozione positiva di “capacità”.

Con ciò stesso, la nozione di libertà è portata sul terreno della storia, e suo parametro non è più il criterio formale della “libertà” di scelta - la possibilità di scegliere o meno un certo contenuto (§§ 14, 15 A), col corollario della possibilità di tornare sulle decisioni prese (§ 16) - ma la scelta effettiva­mente compiuta, in base al metro di valutazione costituito dalla conformità di forma e contenuto del volere. I contenuti di tale conformità sono da Hegel precisati nella “dottrina dei doveri” costituita dalla sezione “eticità” dei Lineamenti (§ 148, A): in termini generali, la libertà in questo senso più alto consiste in un’attiva identificazione dell’indivi­duo con l’insieme etico, in un movimento in cui necessità del pensiero e necessità esterna finiscono col convergere (o meglio: in cui la necessità esterna non è più sentita come tale).

2.2.1.1. Un problema: il rapporto difficile tra libertà di scelta e necessità interna.

Più avanti ci fermeremo sulle difficoltà che questa accezione di libertà come “identificazione” comporta nell’economia del discorso hegeliano. Si può intanto notare come il semplice accento sulla “necessità interna” (comunque connotata) comporti notevoli ambiguità. Infatti,

1) da un lato l’“arbitrio”, la libertà di scelta, pur essendo accezione minima di libertà, è pur sempre, anche per Hegel, ciò che garantisce la imputabilità delle azionixviii.

Questo può accadere solo in quanto il “determinismo dell’intelligibilità” hegelianoxix convive con una distinzione di piani di discorso in corrispondenza coi vari livelli del reale, e con una metodologia che nega la riducibilità delle varie strutture alla loro genesi; espresso in altri termini: la realtà è un edificio i cui piani superiori non sono conoscibili - nella loro legalità di funzionamento attuale - in base alle leggi che regolano gli inferiori (e questo a prescindere dalla possibile genesi dei primi dai secondi)xx. Le conseguenze di questi assunti generali per il problema della libertà sono notevoli: in primo luogo la autodeterminazione umana è in certo senso un cominciamento; nel mondo umano è possibile e necessario valutare l’azione in base ad intenzioni, motivazioni pertinenti al soggetto, le quali, a loro volta, sono relative ai particolari contesti etici entro cui hanno luogo. In secondo luogo la distinzione di piani sembra coinvolgere il rapporto stesso tra agire e conoscere filosofico: il dualismo necessariamente inerente all’azione non è “confutabile” in base al monismo e determinismo retrospettivi del pensiero ed è con essi compatibile, in quanto appunto agire e conoscere si trovano su piani differentixxi.

2) D’altra parte, l’azione è valutata da Hegel in base alla sua razionalità assoluta, ossia alla sua adeguazione alla “volontà in sé e per sé”, la quale è necessità. Non pare che questa posizione di Hegel possa interpretarsi semplicemente facendo riferimento alla connessione di necessità-razionalità di contro al nesso contingenza-naturalitàxxii. Oltre a questo, infatti, l’eccellenza dell’azione “libera in sé e per sé” rispetto alla volontà di fronte alla scelta sta proprio nella chiara direzione razionale, necessità, cogenza della prima di contro alla indeterminatezza della seconda: infatti nel § 15 dei Lineamenti l’“arbitrio” è definito come “l’accidentalità, quand’essa è come volontà [die Zufälligkeit, wie sie als Wille ist]”, e ciò in base al fatto che il contenuto del volere - in sé necessario in quanto fine - è soltanto possibile in rapporto alla “libera riflessione che astrae da tutto”xxiii. La libertà vera, invece, è per Hegel movimento dotato di necessità: il più delle azioni che hanno luogo in un insieme etico nel suo funzionamento ordinario (a cui va l’attenzione privilegiata del filosofo: cf. Rph § 268), infatti, non abbisogna a rigore neppure di una scelta particolare e distinta dalla scelta di curare il proprio interesse particolare (nella “società civile”), e di vedere il proprio interesse sostanziale attuato nelle istituzioni dello stato. Da questo punto di vista, l’indecisione stessa sarebbe segno di una non compiuta interiorizzazione dell’eticitàxxiv.

Mi sembra che la conciliabilità di (1) e (2) sia un problema effettivo della teoria hegeliana della libertà; esso può essere così formulato: (1) la esigenza di salvaguardare un significato minimo di “libertà della scelta”, di “arbitrio” per garantire la responsabilità morale e l’imputabilità giuridica non finisce per cozzare contro (2) l’esigenza che la direzione dell’azione sia garantita nel suo percorso deciso e necessario? A questa domanda non sembra possibile trovare una risposta convincentexxv.

2.2.1.2. Gli esiti ultimi della libertà in sé2.

I §§ 17-20 ci danno la misura dei limiti intrinseci allo sviluppo del secondo significato di “libertà”, ed al tempo stesso indicano l’esito estremo a cui questo livello di libertà può pervenire. Il carattere formale della “libertà in sé2” ha espressione in ciò, che nel suo ambito non è data una misura della “subordinazione” o del “sacrificio” degli impulsi e del loro appagamento (§ 17), e il problema stesso della loro “purificazione” - “pa­rola vuota [unbestimmtes Wort]” - non può essere risolto su questo terreno (§ 19, Hb.); in effetti, una depurazione effettiva degli impulsi (benché, precisa Hegel subito, soltanto “in modo esteriore”) può aversi soltanto con l’ideale della “felicità”, come “totalità dell’appagamento” tramite cui un’universalità formale, per la prima volta differente dalla semplice presenza di sé nella scelta, è portata negli impulsi (§ 20): ma anch’essa è “priva di contenuto in sé, indeterminata”, e si riduce in fondo ad “una singola sensazione piacevole, [alla] soddisfazione di un singolo impulso” (§ 20 Hb.), risultando così un universale soltanto presunto. Per finire, è bene dare il giusto rilievo al parallelo, stabilito in quest’ultimo paragrafo dedicato al secondo significato di libertà, tra l’ideale universale della felicità e la “universalità del pensiero” originata dalla “Bildung”: qui Hegel fa esplicitamente riferimento ad una delle direzioni di trasformazione dei “Triebe” per cui solo è possibile giungere alla “libertà in sé e per sé”; tali direzioni riceveranno la dovuta attenzione nel testo hegeliano a proposito della “società civile”xxvi. Ma già nell’introduzione l’accenno ad esse conferisce plausibilità al “passaggio del principio [della] felicità nel principio della libertà” (§ 21 Hb.).

2.2.2. “Diritto astratto” e “moralità” come sviluppi del secondo significato di libertà

2.2.2.1. “Il diritto astratto”

Per poter svolgere questo punto è necessario chiarire una questione importante, che investe direttamente il problema del significato da assegnare alla partizione dei Lineamenti.

Dopo essere pervenuto - negli ultimi paragrafi dell’introduzione (Rph §§ 21 sgg.) - alla “libertà in sé e per sé”, Hegel ci propone la trattazione del “diritto astratto” come avente ad oggetto “la volontà libera in sé e per sé, com’essa è nel suo concetto astratto” (§ 34); parrebbe dunque che la introduzione ai Lineamenti giungesse soltanto a darci il punto di partenza della trattazione vera e propria, anziché costituire una stringata ed efficace anticipazione della sua intelaiatura. Le difficoltà di questa lettura, però, non sembrano trascurabili: in particolare, essa sembra dipendere dall’ipotesi di uno sviluppo storico del contenuto del Diritto.

Ora, in primo luogo Hegel esclude esplicitamente che l’esposizione dei Lineamenti corrisponda ad uno sviluppo storico: “è da notare che i momenti il cui risultato è una forma ulteriormente determinata, vengono avanti di esso come determinazioni del concetto nello sviluppo scientifico dell’idea, ma non vengono prima di esso nello sviluppo temporale come configurazioni” (Rph § 32 A)xxvii. In secondo luogo, la stessa, annotazione piuttosto involuta ora citata, termina accennando al fatto che soltanto all’interno di una “civiltà più sviluppata [in höher vollendeter Bildung]” i vari momenti si presentano nel loro massimo dispiegamento; a questo va aggiunto quel luogo in cui Hegel asserisce che “gli elementi giuridico e morale non possono esistere per sé, ma hanno come sostegno [Träger] e base quello etico” (Hotho ad Rph § 141: III, 478)xxviii, che risulta così presupposto a tutta la trattazione.

Se però si deve parlare della (moderna) eticità come base su cui solo hanno luogo tutti i rapporti giuridici (nel senso del diritto privato) e morali esposti nell’opera hegeliana, è necessario attribuire ben altro significato alla citata affermazione del § 34: tra le relazioni che hanno luogo nell’eticità, sede della raggiunta “volontà libera libera in sé e per sé”, i rapporti giuridici costituiscono il livello più “immediato” ed “astratto”.

Proviamo ora a seguire nell’essenziale il percorso del “diritto astratto”. Si può innanzitutto notare che, dal punto di vista individuale, si muove da una sostanziale corrispondenza tra la volontà e l’“arbitrio” (§ 35); l’immediatezza di cui parlava il § 34 origina dalla carenza di un contenuto proprio (§ 34 Hb.), che come abbiamo visto è caratteristica dell’arbitrio e più in generale della “volontà libera in sé2”. In conformità a quanto già osservato a proposito dell’introduzione ai Lineamenti, alla base dell’azione vi è l’universalità formale, il pensiero di sé come io astratto universale, infinito nella sua determinazione, (ossia la “libertà in sé1”): è esso a specificare il “soggetto” (che in questa sua accezione più generale comprende ogni essere vivente) in “per­sona” (§ 35, A).

Carattere comune alle tre principali determinazioni del “diritto astratto” (la proprietà, il contratto e l’illecito) è il fatto che la libertà abbia un’“esistenza immediata” in una cosa (§ 40), cosicché questa sezione è in realtà come “attraversata” dalla figura della proprietà (§ 40 Hb, HW 7.101). Nel percorso della sezione attraverso i suoi tre momenti ha luogo una progressiva perdita di immediatezza, ed un primo conseguimento dell’universale (ibidem): tale movimento è visibile anche soltanto ad un breve esame delle tre determinazioni fondamentali del “diritto astratto”.

a) Nella proprietà la persona si dà una “sfera esterna” della propria libertà (§ 41). Questa affermazione di Hegel può essere facilmente compresa se posta in relazione con uno dei principali significati Hegeliani di libertà, ossia la libertà come “creazione di una realtà a sé conforme”. Ciò significa, non da ultimo, perdita della semplice soggettività del volere; essa ha luogo in particolare con il “dare forma [Formierung]” alla cosa (Rph § 56): essa è “la presa di possesso più adeguata all’idea, in quanto unifica entro di sé il soggettivo e l’og­gettivo” (§ 56 A)xxix.

b) Del contratto, relazione tra due volontà, Hegel afferma che è “il peculiare e verace terreno nel quale la libertà ha esistenza [Dasein]” (§ 71). In questo caso la proprietà vede anche il rapporto tra volontà come sua condizione; tale relazione, che sembra mezzo della proprietà, ne è in realtà il risultato ed il fine: infatti per un verso ad esso la proprietà perviene necessariamente (ibidem), per l’altro è conforme alla ragione che ad esso si arrivixxx. “Conforme alla ragione” non significa qui altro che “funzionale allo sviluppo della libertà”, intesa come “volontà che vuole se stessa”.

Però il contratto è stipulato tra persone immediate, cosicché la “volontà identica” che lo rende possibile è un volere soltanto “comune”, non ancora “universale in sé e per sé” (§ 75).

c) Proprio da ciò deriva la possibilità che non vi sia accordo tra “volontà particolare” e volontà “essente in sé”; tale mancata corrispondenza costituisce l’illecito (§§ 40, 81). In altre parole: nel contratto la volontà singola non ha rinunciato “all’arbitrio e all’accidentalità della volontà stessa” (ciò, come vedremo, è infatti possibile solo in base ad una adesione consapevole al tutto etico), ma solo “all’arbitrio su una cosa singola” (§ 81 A). E la stessa, pur relativa validità del contratto, ha la sua origine nel fatto che in esso è comunque presupposto “il diritto in sé, ossia l’esistenza della libertà in generale”: questo elemento, dunque, non solo travalica le volontà particolari, ma è proprio ciò “che le lega od obbliga [das Bindende]” (§ 81 Hb., HW VII, 171)xxxi.

Non sarebbe difficile applicare a questi luoghi le note considerazioni marxiane circa l’inversione del rapporto reale all’interno dei Lineamenti. Ma qui interessa piuttosto notare la presupposizione e introduzione, ai vari livelli del procedere argomentativo, del punto d’arrivo del processo, ossia della libertà come sistema dispiegato del diritto e dell’eticità: qui si fa chiaro che la Filosofia del diritto è, non da ultimo, la cronaca (a scopo didascalico) delle varie tappe attraverso cui la volontà singola conquista l’adeguazione soggettiva alla realtà politica e sociale, realtà che la coscienza individuale si trova dapprima di fronte come un che di estraneo; e contemporaneamente ci si presenta in tutta la sua difficoltà il compito ermeneutico principale per chiunque si accosti ai Lineamenti Hegeliani: districare dal loro viluppo due tipi di libertà, ossia la libertà del soggetto e la libertà oggettivamente presente - ma all’inizio non consaputaxxxii.

L’illecito contribuisce a profilare le distanze tra i due tipi di libertà ora menzionati; i suoi due risultati sistematici, infatti, sono compendiabili in: (1) comparsa esplicita della “volontà universale in sé” del diritto, e sua differenziazione dalla (2) “volontà singola essente per sé” (§ 104), in cui la libertà ha esistenza interiore (Hotho ad § 104: III, 327-328). La valutazione hegeliana di quest’ultimo aspetto presenta subito ambiguità ri­levanti, destinate a proiettarsi sull’intera sezione “Moralità”: per un verso essa sembra marcare un progresso, per l’altro essa non è che “l’infinita accidentalità essente entro di sé della volontà” (§ 104 A).

2.2.2.2. “La moralità”

I primi paragrafi della seconda sezione dei Lineamenti sono dedicati ad una definizione delle differenze tra “diritto astratto” e “moralità”: in quest’ultima ha luogo una ulteriore riflessione della volontà entro di sé, e su questo nuovo terreno la “persona” diventa “soggetto” in senso stretto, perde immediatezza e non ha più la realizzazione della sua libertà in una cosa (§§ 105 sgg.).

Al di là e al di sopra di questo, è però essenziale notare come di fatto non si esca, con la moralità, dall’am­bito della “volontà libera in sé2”: a riprova di ciò è sufficiente richiamare l’accento hegeliano sul lato formale della volontà e la distinzione di questa dall’“oggettività” come un’“esistenza esteriore” (§ 108)xxxiii.

Nel § 109 troviamo descritto il modo di operare del volere in generale (non semplicemente morale), in termini che ripetono i §§ 8-9. Le modalità specifiche dell’azione che ha luogo sul terreno della “moralità” sono poi esposte nel § 113:
l’estrinsecazione della volontà come volontà soggettiva o morale è azione [Handlung]. L’azione contiene le determinazioni indicate: a) di venir saputa da me nella sua esteriorità come la mia, b) di esser la relazione essenziale con il concetto come un dover essere e g) con la volontà di altri”.

Hegel nell’annotazione al paragrafo ci dice che tra le caratteristiche indicate non la prima (che rappresenta la riflessione in sé del volere), ma solo le ultime due mancano nel “diritto astratto” (per di più, l’ultima manca nel diritto solo in senso positivo). È facile notare come i segni distintivi esibiti siano assai poco caratterizzantixxxiv: in ogni caso, essi non sembrano costituire una nozione specificamente morale di libertà.

Una prova importante della sostanziale pertinenza del contenuto della “Moralità” all’ambito del secondo significato di libertà, oltreché della comprensività tematica dell’introduzione ai Linea­menti, ci è poi offerta dalla riproposizione della “felicità”, ora associata al “benessere” (§ 123, A)xxxv.
Nell’introduzione non era presente “il bene” (§§ 129 sgg.). Esso è però di pertinenza della “Moralità” solo nel suo primo apparire, ossia come “soggettivo, o formale” (§ 129); la ragione dell’interesse hegeliano per questa nozione risiede nella stretta connessione del “bene” col “dovere [Pflicht]” (§ 133) - assente nella “felicità” -, dovere che poi consiste nell’“attuare il diritto e preoccuparsi del benessere” proprio e altrui (§ 134). In altre parole, è l’interesse verso una nozione preparatoria all’“Eticità”, la quale sottrarrà il “bene” alla condizione di semplice “dovere” come”essenzialità universale astratta” (§ 133) specificando la “Pflicht” in doveri determinati.

Si può osservare come dopo “bene” e “dovere” la parabola della “Moralità” entri nella sua curva discendente: infatti la successiva trattazione della “coscienza morale [Gewissen]” - definita come la particolarità in cui risiede l’universalità del bene (§ 136) - è subito scissa in due: da una parte la vera coscienza morale, che consiste nel volere ciò che è buono in sé e per sé, e dunque secondo Hegel può prodursi solo nell’ambito dell’eticità; dall’altro la coscienza morale della “moralità”, che è semplice certezza formale di sé (§ 137), in quanto appunto “il sistema dei doveri qui non è ancora dato” (§ 137 Hb., HW VII, 257).

Esito della moralità risulta così l’“autocoscienza” come possibilità di prendere a principio sia ciò che è “universale in sé e per sé”, sia “l’arbitrio, la propria particolarità” (§ 139).

2.3. La libertà in sé e per sé

Sino al § 20 dell’introduzione ai Lineamenti, ed all’interno di “Diritto astratto” e “Moralità”, avevamo a che fare con la forma del volere libero, e col processo della sua trasformazione interna. A partire dal § 21, e con l’“Eticità”, siamo invece trasportati sul terreno della “volontà libera in sé e per sé”xxxvi, libertà secondo la forma ed il contenuto. Che Hegel così definisce:

la volontà essente in sé e per sé è veracemente infinita, poiché il suo oggetto è essa stessa, quindi il medesimo per essa non è un che di altro termine, bensì essa in ciò piuttosto è soltanto ritornata entro di sé. Essa è inoltre non mera possibilità, disposizione, facoltà (potentia), bensì il realmente-infinito (infinitum actu), poiché l’esserci del concetto, ovvero la sua esteriorità oggettiva, è l’interiorità stessa” (§ 22).

L’opposizione alla semplice “possibilità, disposizione, facoltà” non è banalizzabile a semplice espressione della polemica contro la cosiddetta “morale delle buone intenzioni”: “possibilità” indica qui, in generale, la non ancora attualizzata corrispondenza di forma e contenuto, di soggetto e oggetto, insomma la separazione tra “libertà” del singolo e suo mondo che caratterizza tutte le forme del secondo significato di libertà.

Infatti, nella ripresa ideale di questo discorso contenuta nel primo paragrafo della sezione “Eticità”, troviamo che questa è definita come “il concetto della libertà divenuto mondo sussistente [vorhanden] e natura dell’auto­coscienza” (§ 142); in altri termini, nella volontà libera in sé e per sé il mondo etico, che il soggetto dapprima si trova semplicemente di fronte come “già fatto”, è interiorizzato e voluto dalla coscienza: sostituisce, come contenuto del volere, gli impulsi naturali e l’arbitrarietà dei contenuti semplicemente soggettivi.

A ben vedere, però, non si può parlare soltanto di sostituzione degli impulsi, bensì anche di una loro trasformazione. La questione, di importanza decisiva nei Lineamenti, richiede qualche chiarimento ulteriore. A proposito dei “Triebe” Hegel affermava già nell’importantissima annotazione ad E § 474 - probabilmente la più chiara enunciazione hegeliana dei rapporti tra “spirito soggettivo” e “spirito oggettivo” - quanto segue:

è la riflessione immanente dello spirito stesso di andar oltre la loro particolarità come oltre la loro immediatezza naturale, e dare al loro contenuto razionalità ed oggettività, in cui essi stanno come rapporti necessari, diritti e doveri... La questione dunque: quali siano le inclinazioni buone e razionali e la loro subordinazione, si converte nell’esposizione dei rapporti [Darstellung, welche Verhältnisse]xxxvii che lo spirito produce quando si svolge come spirito oggettivo: - uno svolgimento in cui il contenuto dell’autodeterminazione perde l’accidentalità e l’arbitrio. La trattazione degli impulsi, inclinazioni e passioni [Triebe, Neigungen und Leidenschaften] secondo il loro contenuto [Gehalt] vero è, perciò, essenzialmente, la dottrina dei doveri giuridici, morali ed etici” (HW X, 297 = tr. Croce 469).

Lo stesso ordine di considerazioni torna in più luoghi dei Lineamenti, ed in particolare nel § 19, in cui He­gel, facendo riferimento alla purificazione degli impulsi, sostiene che “la verità di questa esigenza indefinita è che gli impulsi siano come il sistema razionale della determinazione della volontà”, e che comprenderli così costituisce il “contenuto della scienza del diritto”; l’annotazione a questo stesso paragrafo termina menzionando i doveri come “un’altra forma del medesimo contenuto, il quale appare qui in figura di impulsi”, e la nota autografa di Hegel sul suo esemplare della Filosofia del diritto a scanso di equivoci precisa che “la forma diventa anche contenuto” (HW VII, 70)xxxviii. In altre parole: una valutazione concreta degli impulsi può darsi solo nel contesto del sistema di relazioni ed obbligazioni che costituiscono il tessuto dell’eticità; i doveri e diritti che in essa hanno luogo permettono di incanalare impulsi ed inclinazioni, offrono loro una forma sulla cui base soltanto è possibile giudicare dei contenuti; di più: tali contenuti stessi, dal momento che in questo modo perdono di immediatezza e vengono contestualizzati, subiscono un mutamento qualitativo. Ecco perché si può parlare di trasformazione dei “Triebe”. Tale trasformazione ha luogo secondo più direttrici:

1) l’utilizzazione esterna degli impulsi che ha luogo all’interno della “società civile”: essa, per un verso, su un piano sovraindividuale, dà luogo ad un risultato razionale; ma contemporaneamente comporta, su un piano individuale, un affinamento delle facoltà;

2) la trasformazione in senso più proprio di impulsi ed inclinazioni consiste però nella consapevole realizzazione (non più soltanto strumentale, come nella “società civile”) dei doveri, nella loro assunzione a contenuto della volontàxxxix.

Questi due tipi di trasformazione degli impulsi - a cui dedicherò i prossimi due paragrafi - accompagnano i due movimenti di riconduzione dell’“estremo autonomo della particolarità personale... nell’unità sostanziale” a cui Hegel fa riferimento nel § 260: da un lato (1) i particolari interessi vedono riconosciuto il loro diritto e contemporaneamente “trapassano di per se stessi nell’interesse dell’universale”, dall’altro (2) essi “con sapere e volontà lo riconoscono e anzi come loro proprio spirito sostanziale e sono attivi per il medesimo come per loro fine ultimo”.

2.3.1. L’uso esterno dei Triebe nella “società civile”

L’utilizzo “esterno” dei “Triebe” ha luogo, per mezzo della “astuzia della ragione”xl, all’interno della società civile. Secondo Hegel la scena della società civile è dominata da due principi: da un lato la “persona concreta, ...particolare”, dall’altro la “forma dell’universalità” che media i singoli nei loro rapporti (§ 182); si verifica così un sistema di reciproca dipendenza (non solo nella produzione, ma anche nel consumo: cf. § 198), un intreccio di “benessere e diritto” del singolo e di tutti (§ 183). In questo contesto l’“idea”, ossia l’idea dello stato, è “relativa totalità” e “necessità interna” (dunque lo stesso che necessità esterna, in quanto non consaputa dal soggetto); in questo contesto, in quanto l’idea è semplicemente scissa in “particolarità” e “universalità” (§ 184), cioè priva del ritorno nell’“individualità”xli, non si può dare ancora la libertà nel suo senso più pieno, ed è invece attuata la semplice necessità che il particolare si innalzi alla forma dell’universale (§ 186).

Questo innalzamento del particolare avviene tramite un capovolgimento del rapporto tra mezzi e fini: gli individui credono di servirsi dell’universale, ma accade il contrario (§ 187); questa inversione è funzionale a due diversi risultati, non distinti con chiarezza da Hegel, ma tuttavia ricostruibili in base alle sue argomentazioni:

1) l’utilizzo dei bisogni e delle attività del singolo per il benessere di tutti,

2) la trasformazione della “singolarità e naturalità” individuale, attraverso la “Bildung”, in direzione della “libertà formale” e della “universalità formale del sapere e del volere” (§ 187, A).

L’interesse principale dell’utilizzo esterno dei “Triebe”, in quanto ponte verso la “libertà in sé e per sé”, sembra risiedere nella seconda tra le due direzioni menzionate, ossia nello svilupparsi della capacità dell’uni­versale e dell’adeguazione cosciente del singolo (qui ancora incompleta, in quanto soltanto strumentale per esso) all’oggettività: questo aspetto è infatti assai importante per il passaggio all’azione etica propriamente dettaxlii.


2.3.2. L’adesione consapevole dell’individuo all’intero etico

La formulazione più pregnante dei caratteri dell’azione etica si trova probabilmente in Rph § 268:
la disposizione d’animo [Gesinnung] politica, il patriottismo in genere, inteso come la certezza che sta nella verità (una certezza meramente soggettiva non vien fuori dalla verità, ed è soltanto opinione) e come il volere divenuto consuetudine, è soltanto risultato delle istituzioni sussistenti nello stato, come tale che in esso la razionalità c’è realmente, così come riceve la sua attuazione [Betätigung]xliii dall’agire conforme ad esse”.

È nella “politische Gesinnung”xliv, come definita nel paragrafo ora citato, che Hegel ritiene di poter rinvenire la conciliazione di soggetto ed oggetto - quale può aver luogo nell’ambito dei rapporti etici. Nella lettura di questo importante paragrafo un’attenzione particolare va dedicata all’equivalenza dei due termini-chiave (“di­spo­sizione d’animo politica” e “patriottismo”) rispetto alla “certezza che sta nella verità”. Per intendere questo passo è necessario fare riferimento ad uno schema adoperato spesso da Hegel: per esso, ad esempio, la certezza della nullità dell’oggetto esterno sta alla base dell’azione ed è confermata dalla effettiva distruzione (o modificazione) dell’oggetto che costituisce il risultato dell’azione; questa conferma è secondo Hegel la “verità” (il “per sé”) di quella primitiva “certezza” (semplice “in sé”)xlv. Ora, se poniamo mente al fatto che l’“arbitrio” era stato definito come “l’astratta certezza della volontà intorno alla sua libertà, ma non ...ancora la verità della libertà” (§ 15 A), ci è facile osservare come il “Patriotismus” ne costituisca il pendant positivoxlvi.

Il § 268 ci offre anche la differentia specifica dell’azione propriamente etica rispetto all’agire pertinente all’ambito della “società civile”: essa coincide infatti con la coscienza che non solo l’“interesse particolare” dell’individuo, ma anche quello “sostan­ziale” sia preservato nell’interesse e scopo dello stato.

Il contenuto più determinato della “Gesinnung” proviene poi dai diversi lati (poteri e loro funzioni) dell’or­ganismo dello stato (§ 269). Ai fini del presente lavoro non occorre addentrarsi in una analisi dei poteri dello stato. È sufficiente porre in relazione i luoghi richiamati con uno dei paragrafi introduttivi alla terza sezione dei Lineamenti, quello in cui Hegel afferma che l’obbedienza ai doveri delle leggi dello stato - in quanto contenuto che sostituisce gli “impulsi naturali”, la “depressione” morale, l’indetermina­tezza dell’arbi­trio - costi­tui­sce la libertà sostan­ziale (§ 149)xlvii. Andrà ancora ricordato che per Hegel all’individuo non è concesso di non riconoscersi in tali leggi: infatti, “con la pubblicità delle leggi e i costumi universali lo Stato toglie al diritto dell’intellezione il lato formale e l’accidentalità per il soggetto”, che tale diritto ha ancora nel punto di vista morale (§ 132 A, HW VII, 246).


3. Conclusioni

3.1. I criteri-significati di “libertà”

A conclusione di questo rapido sguardo agli sviluppi del problema “libertà” nella Filosofia del diritto, è possibile cercare di definire quali siano i principali criteri della libertà rintracciabili in essa. A questo è utile anteporre, sulla base di quanto si è visto, qualche considerazione generale. In primo luogo, all’interno del discorso hegeliano risulta di fatto impossibile separare con una precisa linea di demarcazione gli aspetti descrittivi da quelli normativi. Hegel prende le mosse dall’assunzione che la “libertà” nel suo sigificato più pieno sia non una caratteristica originaria del soggetto umano, bensì un processo dotato di rilievo ontologico: più precisamente, un processo che si realizza - sotto determinate condizioni oggettive e soggettive - nella storia; egli propone esplicitamente una teoria anche normativa della realizzazione della libertà: ossia non ci dice soltanto in che senso l’uomo sia “libero”, ma che cosa possa e debba fare per diventarloxlviii. In secondo luogo, il discorso hegeliano è certamente caratterizzabile come un tentativo assai interessante di sottrarsi alle aporie derivanti da una dicotomia tra forma della libertà e suo contenuto. Ma anche all’interno del quadro da lui disegnato sembrano riproporsi asimmetrie, se non tra significati di “libertà” formali e non, tra criteri più o meno comprensivi.

Veniamo, dunque, ai quattro principali criteri di “libertà” che è possibile distinguere in Hegel:

1) Criterio della semplice permanenza di sé nell’altroxlix: esso di per sé ammetterebbe qualsiasi contenuto, ivi compreso il semplice autoriferimento-autoidentità di partenza (vedi in proposito E 382 Z, vero e proprio catalogo dei significati di “libertà”). Ma, come abbiamo visto sopra, tale semplice autoriferimento non è ritenuto sufficiente da Hegel. Solo specificandola in qualche maniera è possibile porre la permanenza presso di sé nell’altro in opposizione alla libertà formale (E § 24 Z 2). A questa necessità rispondono alcuni criteri più particolari:

2) innanzitutto la proiezione esterna, l’espressione-traduzione del proprio sé nell’altro, la creazione - da parte dello “spirito” - di una realtà a sé conforme (Rph §§ 31 A, 142 ecc.)l;

3) un ulteriore, importante criterio della libertà consiste nella denaturalizzazioneli - al di là della distinzione di partenza dell’uomo dalla naturalii, ed anche, per quel che riguarda le strutture sociali, dell’“eticità naturale”.

4) Movimento di interiorizzazione delle norme e dei moduli di comportamentoliii: esso non è in contraddi­zione con la proiezione esterna dell’io richiesta dal criterio (2), e procede in parallelo con la razionalità come depurazione dalla naturalità (3). Ossia la “natura”, come ciò che è esterno rispetto all’agire dell’individuo umano nei suoi rapporti sociali, risulta infine essere un prodotto del pensiero, dell’attività e razionalità umane, ed è interioriz­za­to in quanto tale: divenendo così per il soggetto una “seconda natura”, un sistema razionale delle determinazioni del volereliv.

3.2. Problemi:

I criteri della libertà ora esposti costituiscono le coordinate in base a cui la libertà individuale, soggettiva può realizzarsi nel sistema oggettivo dell’eticità, ossia può - per l’appunto - rendersi oggettiva. I limiti della proposta teorica hegeliana sono compendiabili in due serie difficoltà, delle quali la prima concerne la struttura argomentativa stessa del diritto, l’altra il rapporto tra i diversi criteri-significati di libertà.

1) In primo luogo: che la libertà quale si realizza nei rapporti etici sia l’approdo del concetto di libertà è presupposto, ma non dimostrato. Non si tratta semplicemente del fatto che ciò che precede nell’esposizione è definito e valutato sulla base di ciò che segue; questo è infatti un principio metodologico cosciente­mente e regolarmente adottato da Hegel - e dunque di per sé non costituirebbe una difficoltà. Inoltre, almeno a prima vista, la sua applicazione nei Lineamenti appare meno problematica che in altre opere hegeliane: in fin dei conti, l’“eticità” è presupposto fattuale di tutto il diritto (come si è visto, “diritto astratto” e “moralità” sono oggetto di quest’opera solo in quanto si tratta di diritto e moralità quali si sviluppano entro l’”eticità”)lv. È però necessario evitare di confondere la descrizione dell’eticità come sistema dei rapporti sociali con le norme di comportamento etico: insomma, il fatto che un determinato sistema di regole sussista non si identifica con la necessità, da parte del soggetto, di uniformarsi ad esse, né, tantomeno, comporta che l’individuo trovi in esse realizzata la propria libertà. Ed è invece proprio la normatività dei rapporti etici a venire costantemente introdotta (mai fondata) nelle fasi dell’esposi­zione precedenti l’”eticità” stessa. A questo proposito è illuminante l’annotazione autografa di Hegel in margine a Rph § 18, in cui è operata una decisa distin­zione tra due significati di “bene”: “buono [gut]” è ciò che “si accorda con un fine”, con la mia sensazione ecc., ma “il bene [das Gute]” è solo “l’accordo della volontà con se stessa”; ove appunto in questione non è, tautologicamente, l’accordo della volontà tout court con sé, ma la volontà come libertà realizzata in un sistema sovraindividuale. È molto significativo che tale libertà sia già qui presente, come ideale rispetto a cui solo è possibile la “valutazione degli impulsi” (§ 18). Ed appare obbligato un parallelo tra il passo citato ed il § 137, ove “buono in sé e per sé” è il “sistema oggettivo "dei" princìpi e doveri” proprio dell’eticità. La doppia equivalenza “azione buona” = “azione etica” = “accordo della volontà con se stessa” (cioé realizza­zione della libertà) permette la valutazione ed il “superamento” di ciò che non si conforma a questo modello, ma non è mai realmente giustificatalvi.

2) In secondo luogo: l’equivalenza di “comportamento etico” e “realizzazione della libertà”, comporta la non completa realiz­za­zione, il non completo adempimento di un essenziale significato-criterio di libertà: la permanenza presso di sé come coscienza del significato del proprio operare; infatti tale coscienza

a) è quantomeno imperfetta nella società civile,

b) nell’azione etica in senso proprio ha appunto luogo soltanto sotto forma di identificazione,

c) sparisce addirittura nel contesto della storia universalelvii.

Tutto questo sembra porre in serio dubbio la permanenza di un nucleo di significato comune alle diverse accezioni del termine “libertà”, permanenza che sarebbe in verità richiesta da uno dei presupposti metodici hegeliani visti all’inizio, ossia dall’esigenza di un legame interno nello sviluppo delle determinazioni.

Ma sarebbe sbagliato pensare a semplice incoerenza da parte di Hegel. Le ragioni della posizione hegeliana possono invece essere almeno in parte chiarite facendo riferimento a due caratteristiche del pensiero del filosofo:

a) l’uso del termine “coscienza” è segnato in Hegel da un’ambiguità fondamentale; questo aspetto risalta con estrema chiarezza nelle Lezioni sulla filosofia della storia, in cui è facile notare un nesso strettissimo tra “coscienza” [Wissen, Bewußtsein] da un lato, e “produzione”, “effetto”, “realizza­zione” [Hervorbringung, Wirkung, Verwirklichung] dall’altro. Talora si tratta di semplice consecutività di coscienza e realizzazione: “lo spirito produce, realizza se stesso in conformità del suo sapere di sé: esso fa sì che ciò che esso sa di sé, anche si realizzi” (VG 55-56=39)lviii. Altrove, però, abbiamo invece a che fare con una vera e propria identità tra i due termini: “lo spirito deve giungere a coscienza di sé o rendere il mondo conforme a sé. Le due determinazioni sono infatti identiche” (VG 74=60)lix. La portata del problema “coscienza” è dunque sdrammatizzata sulla base di un notevole allargamento del campo semantico di “Bewußtsein”lx;

b) a ciò va aggiunto un altro elemento (connesso al precedente negli stessi luoghi da noi richiamati): l’ampliamento analogico del novero dei soggetti coscienti. La coscienza, e la libertà, non sono attributo esclusivo degli individui, che costituiscono soltanto uno tra i vari livelli in cui si articola la storia universale; a fianco della libertà del singolo nello stato, nella storia ecc., vi é anche una libertà del popolo, dello stato, del “Weltgeist”: per Hegel la libertà del secondo tipo può darsi in assenza della prima (ossia di una coscienza individuale di essa), ma non risulta perciò gravemente dimidiata. Lo sposta­mento di accento su un concetto sovra­individuale di libertà è caratteristica evidente anche del diritto, ed è all’origine di una critica che fu mossa ad Hegel già nel 1822 da un anonimo recensore e più volte ripetuta in seguito: per essa, se Hegel meritava di essere lodato per aver fondato la sua “deduzione del diritto sulla teoria della libertà”, egli andava però criticato per aver posto al centro della propria considerazione “la libertà di uno spirito assoluto”, e non invece “la libertà dei singoli uomini, di cui è costituito il complesso dell’umanità”lxi. Credo che a tutt’oggi una lettura attenta del problema “libertà” nei Lineamenti debba certamente evitare di valutare il discorso hegeliano in base a criteri di individualismo metodologico, ma non possa in alcun modo fare a meno di considerare limiti e pregi delle proposte hegeliane a partire dal rapporto che di volta in volta si instaura (esplicitamente o meno) (1) tra i vari significati del concetto di “libertà” e di “coscienza”, e (2) tra i vari livelli di significato (individui, strutture sovraindividuali) a proposito dei quali questi termini sono adoperati.


i Due significative testimonianze di questo indirizzo interpretativo sono costituite dal volume, curato da D. Henrich e R.P. Horstmann, Hegels Philosophie des Rechts. Die Theorie der Rechtsformen und ihre Logik, Stuttgart 1983, e dal più recente testo di P.J. Steinberger, Logic and Politics. Hegel's Philosophy of Right, New Haven and London 1988.
ii Il testo più importante sotto questo riguardo è Hegel's Philosophy of Action, a cura di L.S. Stepelevich e D. Lamb, New York 1983.
iii Non mancano i riferimenti espliciti alla "fenomenologia" e, soprattutto, alla "psicologia" dell'Enciclopedia (cf. ad es. Rph § 8), e, ciò che più conta, numerose sono le corrispondenze testuali. Su questo parallelismo vedi, di A. Peperzak, Zur Hegelschen Ethik nel volume curato da D. Henrich e R.P. Horstmann Hegels Philosophie des Rechts, Stuttgart 1983, 123; dello stesso autore cf. il più recente Philosophy and Politics. A Commentary on the Preface to Hegel's Philosophy of Right, Dordrecht 1987, passim.
iv Rph § 5 nella Nachschrift di K.G. von Griesheim 1824/25: in G.W.F. Hegel, Vorlesungen über Rechtsphilosophie 1818-1831, a cura di K.H. Ilting, Stuttgart-Bad Cannstatt 1974, vol. IV, 112 (questa edizione d'ora in poi verrà citata riportando solo numero del volume e delle pagine).
v Cf. WL II, 446 = 842 sg.
vi Ossia dotata di contenuto universale, che è mediante il pensiero: E § 469 A.
vii Cf. Phän. 200 = I, 218, WL 2.483=876.
viii E § 381 Z, HW X, 20.
ix Nella nota autografa di Hegel a Rph § 7 A quest'ultima espressione è preferita alla prima: cf. HW VII, 55.
x Hotho 1822/23 ad § 13: in G.W.F. Hegel, Vorlesungen über Rechtsphilosophie 1818-1831, a cura di K.H. Ilting, cit., 1974, vol. III, 130; cf. Griesheim ad § 6: IV, 115.
xi L'affermazione è più volte ripetuta da Hegel: v. § 7 A; § 8 Hb. [=annotazione autografa di Hegel su copia del suo esemplare a stampa dei Lineamenti], HW VII, 58; § 15.
xii Cf. § 10, su cui si tornerà più avanti.
xiii Nella Scienza della logica si trovano, in verità, due trattazioni dell'argomento: in primo luogo nel capitolo "Teleologia" (WL II, 436-461=833-856; cf. E §§ 204-212), in secondo luogo (e senza mutamenti di rilievo) nell'"Idea del bene" (WL II, 541-548=929-934; cf. E §§ 233-235, il cui titolo non a caso è "Das Wollen").
xiv Per la identificazione di volontà e libertà v. Rph § 4 A e soprattutto Hotho: III, 107; Griesheim: IV, 102. L'uso interscambievole di "Wille", "freier Wille", "Freiheit" è rilevato da Ulrich Steinvorth, Freiheitstheorien in der Philosophie der Neuzeit, Darmstadt 1987, 207, ed A. Peperzak, Zur Hegelschen Ethik, cit., 108.
xv Il "concetto" di cui Hegel fa parola nel brano ora citato corrisponde alla prima delle due accezioni in cui il termine è presentato in Rph § 33 A, ossia al "Begriff" come "in sé", e va distinto dal concetto sviluppato, dal "Begriff, der in der Form des Begriffs für sich ist" (ibid.).
xvi Cf. E §§ 476 sgg.
xvii E. Gans unì qui - rispettandone pienamente il senso - due passi della Nach­schrift di Hotho (III, 138-139).
xviii Infatti "la decisione dell'uomo è il fare suo proprio, il fare della sua libertà e della sua colpa" (Hotho: III, 446; cf. Griesheim: IV, 369).
xix La definizione è di G.H. von Wright, Spiegazione e comprensione [1971], tr. it. Bologna 1977, 184-188.
xx Esemplare a questo proposito un passo delle Lezioni di storia della filosofia rivolto contro le argomentazioni usate da Epicuro per dimostrare l'assenza di finalità in natura, e in particolare contro quella secondo cui dal fango sotto l'azione del calore solare nascerebbero a caso dei vermi; la risposta di Hegel è che i vermi "possono certamente essere accidentali come tutto [Ganzes] in rapporto ad altro; ma il loro in-sé, concetto ed essenza è ora alcunché di organico: e il problema consiste appunto nel farsi un concetto di esso [dieses zu begreifen]" (Gph II, 313 = II, 461-462). Questa posizione ha tra le sue conseguenze il rifiuto della validità incondizionata del principio di causalità in tutte le sfere del reale. Si noti però che questo rifiuto non ha di per sé valenza antideterministica: esso infatti colpisce soltanto una delle versioni del determinismo, e sia pure la più diffusa in età moderna; un elenco delle accezioni di 'determinismo' si trova in U. Pothast, Die Un­zulänglich­keit der Freheits­beweise2, Frankfurt a.M. 1987, 39 sgg.
xxi Ovviamente, in quanto il conoscere vede retrospettivamente la necessità del processo, a Hegel non rimane che parlare di ciò che sta alla base dell'azione, ossia la convinzione che il Bene non sia attuato, come dell'"illusione in cui viviamo" e che costituisce però, al tempo stesso, "la forza operante [das Betätigende] su cui riposa l'interesse del mondo" (E § 212 Z). Nella distinzione di piani tra dualismo dell'azione e monismo del pensiero si può trovare qualche elemento di contatto col cosiddetto "indeterminismo epistemico", le cui più importanti formulazioni in tempi recenti si trovano nel Popper di Indeterminism in Quantum Physics and in Classical Physics (British Journal for the Philosophy of Science, 1950, I, 117-133 e 173-195) e soprattutto in D.M. Mac Kay (Freedom of Action in a Mechanistic Universe, Cambridge 1967): questi autori ritengono che la possibilità di una lettura retrospettiva dell'azione come procedente secondo leggi dalla situazione, ossia determinata, non contraddica l'impossibilità di una previsione cogente nel momento dell'azione stessa. Mi sembra però che rispetto alle posizioni menzionate siano accertabili alcune differenze rilevanti del ragionamento hegeliano: la prima, e più importante, consiste nel fatto che Hegel sottrae l'ambito dell'organico e, a fortiori, quello dello spirito all'esclusivo dominio della causalità; in secondo luogo, l''indeterminismo epistemico' hegeliano si basa meno sulla imprevedibilità dell'azione che su una separazione tra io e mondo, separazione che chi agisce (a differenza di colui che conosce in senso filosofico) si trova inevitabilmente di fronte: anzi, in base al nesso razionalità-libertà che Hegel riafferma con forza, il dominio dei risultati dell'azione da parte del soggetto è segno non secondario di libertà.
xxii Anche se questo elemento è certamente presente: in Rph § 139 A, ad es., dove leggiamo della "necessità di uscire dalla naturalità della volontà", il termine 'necessità' andrà inteso nel significato di 'conforme a razionalità', 'necessità teleologica', 'bene' (cf. anche le hegeliane lezioni sulla filosofia della storia: VG 29 = 8).
xxiii Si veda anche la "Handbemerkung" di Hegel al testo a stampa: "un esistente [Seiendes], determinato come soltanto possibile, è accidentale - può essere come non essere".
xxiv Per questo secondo aspetto ci si può certamente riferire all'accezione di libertà come necessità interna, che è per Hegel anche necessità esterna che si interiorizza: nel duplice senso di progressiva eliminazione dell'esteriorità naturale, e di riconoscimento della razionalità della 'seconda natura' umana, dell'ordinamento civile, ossia di ciò che dapprima all'individuo appare come necessità esteriore (cf. WL II, 246=652, oltreché E §§ 35 Z, 48 Z, 158 Z e §§ sgg., § 182 Z, § 381 Z). Ma su questo vedi oltre.
xxv Una soluzione radicale di questa difficoltà potrebbe consi­stere nello spostare il problema dalle azioni singole alle azioni fondative del rapporto del soggetto con l'oggettività etica, ossia traducendo il problema della scelta razionale esclusivamente nella scelta di vivere nella società (moderna): da questa scelta seguirebbe per Hegel, senza soluzione di continuità, la necessità di accettare le regole ed i doveri imposti dalla società stessa. Questa soluzione 'contrattualistica' pone però più problemi di quanti ne risolva. Un ulteriore difficoltà concerne la compatibilità di una prospettiva deterministica - sia pure a posteriori - con l'accettazione di un concetto tradizionale di responsabilità; è opinione di U. Pothast che questo non possa essere difeso né in base all'indeterminismo epistemico, né in base alle posizioni compatibilistiche (cf. Die Unzulänglichkeit... cit., rispettiva­mente 187 sgg. e 171 sgg., 416 sgg.). Nel quadro del sistema hegeliano sarebbe possibile dare risposta a questa obiezione soltanto mantenendo decisamente distinti i piani dello "spirito oggettivo" e dello "spirito assoluto", ossia considerando il problema dell'assegnazione di responsabilità e pena come del tutto interno alla sfera (dualistica, come s'è visto) del volere e dell'azione.
xxvi E infatti il § 20 richiama il § 187; cf. infra.
xxvii Cf. Hotho: III, 168.
xxviii Cf. E § 408 Z, HW X, 170-171, in cui, dopo essersi diffuso sull'impossibilità di iniziare la trattazione del Diritto con lo stato (in quanto forma più concreta), Hegel giunge a definire la moralità come "una malattia all'interno dell'eticità".
xxix Circa la superiorità della "Formierung" rispetto al semplice consumo cf., oltre alle notissime pagine della Fenomenologia (Phän 153 sgg.= I, 162 sgg.), il § 434 dell'Enciclopedia.
xxx Significativamente, ha qui luogo la seconda introduzione dell'"a­stuzia della ragione" nel contesto dei Lineamenti (Rph § 71 A, Hotho: III, 262-3; Griesheim: IV, 246). Questo modello aveva fatto la sua prima comparsa a proposito della proprietà (Rph § 45 A, Griesheim: IV, 186-187).
xxxi Cf. § 104 Hb., HW VII, 200-202, partic. 201, ove il "diritto" è appunto definito come "esistenza della volontà in sé universale, del...volere verace, ...idea", e ancora "la cosa stessa, sostanza"; la 'volontà universale' è presente, in questa stessa accezione, nella Rechtslehre für die Unterklasse del 1810, § 18 dei "Chiarimenti all'introduzione", HW IV, 225; tr. it. di G. Radetti, Propedeutica filosofica, Firenze 1951, 25.
xxxii Potremmo definire quest'ultima specie di libertà, per sé presa, come 'semplice contenuto', mentre l'altra è dapprima 'solo forma', o meglio 'forma priva del contenuto a lei adeguato'.
xxxiii Assai significativo, da questo punto di vista, anche l'esplicito riferimento hegeliano alla "coscienza" nella sua separazione di soggetto ed oggetto (vedi il richiamo a Rph § 8 contenuto nel § 108).
xxxiv Per le difficoltà di caratterizzare la "Handlung" cf. anche § 119 Hb., ove, una volta distinta dall'"operare [Tun] meccanico" - cioè semplicemente riflesso - degli animali, e dal "Tun rechtlich", essa è definita solo da un accenno alla "sfera della mia personalità" (HW VII, 224); poco oltre gli appunti hegeliani recitano: "Handlung Tun des denkenden Menschen - also eine Allgemeinheit in ihr - dies das Wesentliche" (HW VII, 225): ma questa universalità, così connessa al pensiero, è una conquista progressiva nella moralità più che un suo tratto distintivo; oppure consiste nell'universalità iniziale del volere, la quale però è propria di ogni azione umana.
xxxv In questi luoghi troviamo anche un riferimento esplicito ai §§ 395 sgg. dell'Enciclopedia del 1817 (corrispondenti ad E §§ 478 sgg.), ove il tema aveva ricevuto una prima trattazione. E ancora di recente è stato sottolineato con ragione, a proposito dei paragrafi dell'Enciclopedia dedicati alla moralità, che molto in essi "è solo un ulteriore sviluppo dei paragrafi sullo spirito pratico soggettivo" (A. Peperzak, Autoconoscenza dell'assoluto. Lineamenti della filosofia dello spirito hegeliana, tr. it. Napoli 1988, 72.
xxxvi L'adozione di questa terminologia da parte di Hegel non è costante: talora, ad es. nel § 35, troviamo soltanto "für sich" ad indicare quest'ultimo significato di libertà, ciò che può ingenerare qualche confusione rispetto ai casi in cui 'per sé' ha connotazione negativa (cf. per tutti i §§ 81 e 104).
xxxvii Non convince la traduzione crociana di queste parole: "espansione dei rapporti".
xxxviii Cfr., per questi vari aspetti del rapporto "Triebe"-"Pflichten", Rph § 11, A, Hb.
xxxix Non è forse improprio, a proposito di questi due livelli di accetta­zione delle norme, riferirsi alla distinzione kantiana tra imperativo ipotetico ed imperativo categorico.
xl Ma a questo proposito Hegel adopera indifferentemente i termini "idea", "ragione", "intelletto": cf. le locuzioni "interesse dell'idea" (§ 187), "scopo della ragione" (§ 187 A), "intelletto che governa la cosa" (§ 189 A). Di "astuzia della ragione", al di fuori della società civile, Hegel aveva parlato a proposito di "proprietà" e "contratto" (cf. supra, nota 33), il cui contenuto è del resto affine a quello della seconda sezione dell'"Eticità". Come è noto, questo modello ha inoltre un rilievo notevole nelle Lezioni sulla filosofia della storia, e dunque anche nei paragrafi dei Lineamenti dedicati alla "Weltgeschichte" (cf. ad es. Rph § 344).
xli Ci sembra che in tal senso vada interpretato, integrando le esplicite affermazioni hegeliane, il ragionamento svolto in Rph § 184.
xlii A questo riguardo possono essere significativi alcuni rilievi di carattere lessicale: infatti nei paragrafi dedicati al "sistema dei bisogni" la "Bildung" è definita come "livellamento [Glättung] della particolarità, per cui essa si comporta secondo la natura della cosa [Sache]" (Hotho ad § 187: 3.583), altrove come "ciò che fa valere un universale" (Hotho ad § 2O: III, 144-145); e queste due definizioni le troviamo compendiate proprio in un famoso luogo ove Hegel introduce i suoi uditori all'"azione etica" come a ciò in cui "io faccio valere non me stesso, bensì la cosa" (Hotho ad § 15: III, 135; tutti i corsivi sono miei).
xliii Su questo punto è parso opportuno seguire il testo della prima edizione dei Lineamenti, anziché rifarsi alla "Bestätigung" proposta dall'Hoffmeister (Grundlinien der Philosophie des Rechts5, Hamburg 1955); "Betätigung", infatti, oltre ad inserirsi perfettamente nel contesto del § 268, è termine largamente testimoniato in contesti analoghi delle Lezioni sulla filosofia della storia: vedi ad esempio, sulla "Betätigung" e "Verwirklichung" dell'universale, VG 81=69, cf. 112=105); poco oltre le passioni sono definite "das Betätigende" (VG 84=73; cf. inoltre 95,96=86, 102=94, 105=97, 106=98; E § 212 Z cit.). Per quanto riguarda la traduzione del termine, credo che questo possa essere reso (anche se non perfettamente) con "attuazione" - che ha il pregio di mantenere il significato dinamico proprio dell'originale tedesco - anziché con la formulazione di "conferma nei fatti" proposta dal Marini.
xliv Su "Gesinnung" in questa accezione cf. già E § 482 A, e Rph §§ 141 A, 257.
xlv Per altri usi, in differenti contesti, di questo modello, si vedano: Phän 185 = I, 201; WL II, 460=855, II, 480=873-874, II 498=889-890, II, 542=929; E §§ 204 A, 224, 233, 417, 570.
xlvi Per la doppia equivalenza di arbitrio-certezza e libertà-verità cf. anche E §§ 413 Z, 416 sgg.
xlvii Poco prima Hegel aveva considerato "la dottrina etica dei doveri" come semplicemente consistente nello sviluppo dei rapporti dello stato (Rph § 148 A).
xlviii Non convince il tentativo di K.H. Ilting di considerare gli aspetti normativi come assolutamente secondari rispetto al contenuto "fenomenologico" della Filosofia del diritto, ed in ultima analisi niente più che residui della Rechts- und Pflichtenlehre di Norimberga (cf. in proposito il suo importante saggio sulla Rechtsphilosophie als Phänomenologie des Bewußtseins der Freiheit in Hegels Philosophie des Rechts..., cit., 225 e ivi nota 2. D'altronde lo stesso Ilting è poi costretto a fare più volte riferimento alle "proposizioni normative" presenti nei Lineamenti (oltre al luogo cit. cf. pp. 240, 242, 243 e passim). Volendo tentare di distinguere le componenti della Filosofia del diritto, è possibile separare: (1) una compo­nente descrittivo-dialettica, a sua volta distinguibile in (a) descrizione di strutture sociali e (b) esposizione del percorso che la soggettività compie sino a riconoscersi nell'effettualità (a questo livello è pertinente il discorso dello Ilting); (2) una componente normativa, ossia l'indicazione di doveri e regole a cui il soggetto deve conformarsi per realizzare la propria libertà; quest'ultimo aspetto, però, è sempre strettamente intrecciato ai precedenti.
xlix Cf. ad es. E §§ 381 Z, 382 Z, 413, Rph §§ 5 sgg.
l E ancora: E §§ 382, 384, 444 Z (HW X, 240), 469 (soprattutto Z). Sull'insufficienza, per Hegel, di un "autoriferimento circolare della coscienza nell'interiorità" cf. R. Bodei, Scomposizioni. Forme dell' indivi­duo moderno, Torino 1987, 219 sgg. Per questo aspetto si può inoltre fare riferimento alla efficace espressione, coniata da A. Peperzak, di "Vergeistigung des Vorgefundenen" (Zur Hegelschen Ethik, cit., 129).
li Cf. per tutti Rph § 18, Hb.; Hotho: III, 141-142, Griesheim: IV, 134.
lii Tale distinzione di base si esprime nella capacità umana di sostenere la contraddizione nel pensiero di sé, ossia nella capacità dell'universale: su questo Rph § 5, Hb., ed E §§ 403, A, 407. La centralità dell'opposizione tra natura e libertà all'interno dei Lineamenti è stata opportunamente sottolineata da Manfred Riedel, Natura e libertà nella 'Filosofia del diritto' di Hegel, 1971, la cui traduzione italiana è raccolta ne Il pensiero politico di Hegel. Guida storica e critica, a cura di C. Cesa, Roma-Bari 1979, 37-56 (e partic. 52).
liii Sulla libertà come più alta necessità, ossia come libertà che si fa interna, cf. E 381 Z.
liv Cf. anche VG 256-257=290. Sulla "consuetudine [Gewohnheit] dell'ethos come una seconda natura, che è posta in luogo della prima volontà meramente naturale", v. Rph § 151. Si noti però che il rapporto tra "abitudine" e "libertà" è tutt'altro che lineare in Hegel: se infatti la "Gewohnheit" comporta la "liberazione" dell'uomo dalle singole determinazioni del sentire, questi però nell'abitudine è pur sempre "nella guisa dell'esistenza naturale, e perciò in essa non è libero" (E § 410, A); in questa ambivalenza del giudizio è facile scorgere i due contradditori aspetti della presenza non immediata della coscienza all'operare: da un lato, in quanto essenziale all'"Erinnerung", essa è positiva, dall'altro a causa dell'auto­maticità-meccanicità dell'azione così prodotta, è elemento negativo; anche se Hegel poi - confondendo le tracce - limita la portata della "mancanza di libertà" alle "abitudini cattive", contrapponendole alla "Gewohnheit del diritto in generale", che "ha il contenuto della libertà" (ibid.; v. anche E § 396, in cui Hegel aveva parlato dell'"inattività dell'abitudine che ottunde" come caratteristica della vecchiaia; cf. E § 396 Z, HW X, 86, ove si parla di "prozeßlose Gewohnheit", con ripresa testuale di un'espressione adoperata in E § 375 a proposito della morte dell'individuo animale). Quanto al rapporto tra sistema e razionalità nell'eticità cf. infine Rph § 145.
lv Al punto che lo Steinvorth, con paradossalità solo apparente, ha potuto parlare di "deduzione di diritto e moralità...dall'eticità" (Freiheitstheorien..., cit., 212).
lvi Un ulteriore esempio di presupposizione della libertà realizzata ci è offerto dal § 40, ove "illecito e delitto" sono definiti come differenziazione (e contraddizione) della volontà "entro se stessa" in "volontà particolare" e volontà "essente in sé e per sé"; quest'ultima è appunto libertà che si attua conformandosi alle determinazioni del diritto in senso ampio (cf. anche la definizione del "diritto in sé" come "esistenza della volontà", ed il contesto di questa affermazione, in Rph § 81 Hb., HW VII, 171). La coscienza di questa possibile realizzazione della volontà, consapevo­lezza presente in nuce in ogni uomo, è poi presupposto essenziale dell'imputabilità della sua azione: "l'uomo, inteso come spirito secondo il suo concetto [corsivo di Hegel], è entità razionale [Vernünftiges] in genere, ed ha semplicemente entro di sé la determinazione dell'universa­lità che sa se stessa. Perciò significherebbe trattarlo non secondo l'onore del suo concetto, se il lato del bene e quindi la determinazione della sua cattiva azione come cattiva venisse separata da lui, ed essa non venisse a lui imputata come cattiva" (Rph § 140 A, HW VII, 267=121).
lvii Basti pensare a Rph § 344: "stati, popoli e individui...sono inconsci strumenti e membra" del "travaglio dello spirito del mondo". Nell'ambito della "Weltgeschichte", come nella società civile, il problema è dichiarato dalla presenza stessa del modello dell'"astuzia della ragione"; né, riguardo al processo storico, pare possibile cavarsi d'impaccio facendo riferimento alla progressiva attuazione nel mondo del principio della libertà personale: non sembra infatti che si possa sostenere, in base al testo delle Lezioni sulla filosofia della storia, che nel corso della storia abbia luogo un progresso nel rapporto tra individuo e processo storico, salvo la diversa consapevolezza che l'individuo moderno (educato filosoficamente) ha di ciò.
lviii Oppure: "supremo impulso" dello spirito di un popolo "è quello di comprendersi, e di tradurre ovunque in realtà questo suo concetto" (VG 134=132).
lix E ancora, a proposito degli individui cosmico-storici: "lo stato del mondo non è ancora conosciuto [gewußt]; si tratta di produrlo" (VG 98=90).
lx Che questo non risolva i problemi è cosa facilmente constatabile: basti pensare all'opposizione che de facto ha luogo, all'interno dello sviluppo dei popoli, tra una "coscienza di sé" come principio del popolo, "forza efficiente nella sorte" di esso (VG 59=43, 65=50, 122=117), dunque attiva e produttiva dei rapporti etici, e la coscienza come "suprema attività" del pensare, che distrugge il principio particolare di cui conclude il percorso nel momento stesso in cui acquista piena consapevolezza di esso (VG 65=50, 70=56, 177-178=182-184).
lxi Z.C. [= Carl Salomo Zachariae?] in Hermes oder kritisches Jahrbuch der Literatur, gennaio 1822, I, 309-351; ristampato in Materialien zu Hegels Rechtsphilosophie, a cura di M. Riedel, Frankfurt a.M. 1975, vol.I, 100-145 (per i luoghi citati v. 113-114); si noti, in questa critica, la confusione di piani - peraltro non priva di qualche appiglio testuale - tra "spirito oggettivo" e "spirito assoluto".

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