giovedì 28 maggio 2015

Nietzsche - Antonio Gargano



F. Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 125. L’uomo folle.

 Avete sentito di quel folle uomo che accese
una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare
incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano
raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È
forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro.
“0ppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” –
gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a
loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo
voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi
assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo
fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero
orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo
sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli?
Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da
tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come
attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è
fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo
accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre
seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della
divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta
morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti
gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad
oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo
sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali
giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza
di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno
degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno
dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di
quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle
uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano
e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in
frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguí – non è ancora il mio
tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo
cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono
vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono
tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate.
Quest’azione è ancora sempre piú lontana da loro delle piú lontane
costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”. Si racconta ancora che
l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e
quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e
interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in
questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri
di Dio?”.
 (Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, 1882, Mondadori, 1971) 

Seconda parte:


Nessun commento:

Posta un commento