mercoledì 4 settembre 2013

RIPROPOSTE DIALETTICHE - LE ASTRAZIONI IN MARX - (Coll. di formaz. Marxista)

 Scrive Marx nell’introduzione ai “Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica” (capitolo 3 Il metodo dell’economia politica): ”Sembra corretto cominciare con il reale ed il concreto, con l’effettivo presupposto, quindi per es., nell’economia, con la popolazione, che è la base e il soggetto dell’intero atto sociale di produzione. […] Se cominciassi quindi con la popolazione, avrei una rappresentazione caotica dell’insieme e, precisando più da vicino, perverrei via via analiticamente a concetti più semplici; dal concreto rappresentato, ad astrazioni sempre più sottili, fino a giungere alle determinazioni più semplici.” 
L’analisi non può che partire dal dato di fatto, dall’evidenza di ciò che si mostra al nostro sguardo, in un caotico e disordinato flusso di percezioni apparentemente casuale. Lo sguardo dialettico, l’unico capace di penetrare questo immediato intrigato e multiforme, si fa metodo scientifico per il teorico che deve decifrare prima e costruire poi una teoria che possa render conto, stavolta senza incertezze e incomprensioni, di quella stessa realtà iniziale.
Questo è quanto Marx ci indica come l’unica strada possibile. Questo è il suo modo di affrontare la realtà della società borghese che lo circonda. E questo è il modus operandi che gli consente di scrivere Il Capitale, ancor oggi l’unica teoria che sia riuscita fino in fondo a dare conto della linea di movimento, dei passaggi specifici,                                                                                                                 dell’intreccio e perfino delle casualità, che hanno portato all’affermazione completa e totale del capitalismo.

Ma cosa significa “sguardo dialettico”? In cosa esso differisce dal modo “classico” d’approccio alla realtà degli economisti del suo tempo, e non solo?

La risposta non è semplice da dare. Marx ce ne indica la via: bisogna – egli dice – ricercare, con estrema attenzione, tutte quelle peculiarità che si mostrano comuni, nel corso della storia della società umana, nelle varie e differenti forme sociali che via via si sono susseguite nel corso storico del cammino umano fin da quando le prime comunità si sono andate formando -la comunità primitiva prima e la tribù poi e ancora l’insieme di queste- fino a risalire a quello che Marx indica come il vero inizio della storia: cioè a dire la fine del nomadismo. E grazie a questa analisi affiorerà tutta una serie di categorie semplici, di astrazioni comuni a tutte le epoche che, con forma e importanza diversa, sono tuttavia presenti in ogni epoca e in ogni forma d’economia.

Bellissimo l’esempio che fa Marx con il denaro e il lavoro: “Il denaro può esistere ed è storicamente esistito prima che esistessero il capitale, le banche, il lavoro salariato ecc. In questo senso si può quindi dire che la categoria più semplice può esprimere i rapporti predominanti di un insieme meno sviluppato oppure i rapporti subordinati di un insieme più sviluppato; rapporti che storicamente esistevano già prima che l’insieme si sviluppasse nella direzione che è espressa in una categoria più concreta. In questo senso il cammino del pensiero astratto, che sale dal più semplice al complesso, corrisponderebbe al processo storico reale. […] Benché il denaro svolga una funzione importante molto presto e in tutti i sensi, tuttavia, come elemento dominante, esso appartiene nell’antichità solo a nazioni caratterizzatesi in modo unilaterale, a nazioni commerciali. E perfino presso i popoli più evoluti dell’antichità, presso i greci e i romani, il suo completo sviluppo – che nella moderna società borghese costituisce una premessa – si manifesta solo nel periodo della dissoluzione. Questa categoria del tutto semplice non compare, dunque, storicamente nella sua piena intensità se non nelle condizioni più sviluppate della società. E mai permeando tutti i rapporti economici. Per esempio nell’Impero Romano, nel momento del suo maggiore sviluppo, la base rimase l’imposta e la prestazione in natura. Il sistema monetario, in sostanza, era sviluppato completamente solo nell’esercito, e non investì neppure tutta la sfera del lavoro. Quindi benché la categoria più semplice possa essere esistita storicamente prima di quella più concreta, essa può appartenere nel suo pieno sviluppo intensivo ed estensivo solo ad una forma sociale complessa, mentre la categoria più concreta era già pienamente sviluppata in una forma sociale meno evoluta.

Questo tipo di osservazione, questa riduzione ad una forma sempre più chiara ed evidente va sempre confrontata, passo passo, volta a volta, con la totalità concreta iniziale di partenza e con la totalità dell’insieme determinato dal periodo storico di riferimento che il pensiero ricostruisce nell’analisi. 

Questo per tre motivi in particolare: 1 per confermare l’effettiva comprensione della realtà pensata nella ricerca; 2 per valutare come e quanto effettivamente quella categoria specifica opera ed incide nel suo contesto di riferimento, prima, e nella attualità dell’oggi poi. E 3 quali e quante differenze e similitudini si mostrano allo sguardo: “Il lavoro sembra categoria del tutto semplice. Anche la rappresentazione del lavoro nella sua generalità – come lavoro in generale – è molto antica. E tuttavia considerato in questa semplicità dal punto di vista economico, <lavoro> è una categoria tanto moderna quanto lo sono i rapporti che producono questa semplice astrazione. Il Bullionismo (1), per es, pone la ricchezza in modo ancora completamente oggettivo, come cosa fuori di se, nel denaro. Rispetto a questo punto di vista fu un grande progresso quando il sistema manufattoriero o commerciale trasferì la fonte della ricchezza dall’oggetto alla attività soggettiva, al lavoro commerciale o manifatturiero, ma anch’esso concepiva ancora sempre questa attività nell’aspetto limitato di una attività produttrice di denaro. A questo sistema si contrappose il sistema Fisiocratico che pone come creatrice della ricchezza una determinata forma del lavoro – l’agricoltura – e concepisce l’oggetto stesso non più sotto il travestimento del denaro, ma come prodotto in generale, come risultato generale del lavoro. […] Un enorme progresso compì Adam Smith, rigettando ogni carattere determinato dell’attività produttrice di ricchezza e considerandola lavoro senz’altro: non lavoro manifatturiero, ne commerciale, né agricolo, ma tanto l’uno quanto l’altro. Con l’astratta generalità dell’attività produttrice di ricchezza, noi abbiamo ora anche la generalità dell’oggetto definito come ricchezza, e cioè il prodotto in generale, o ancora una volta, lavoro in generale, ma come lavoro passato, oggettivato. […] L’indifferenza verso un genere determinato di lavoro presuppone una totalità molto sviluppata di generi reali di lavoro, nessuno dei quali domini più sull’insieme. […] Il lavoro qui è divenuto non solo nella categoria, ma anche nella realtà, il mezzo per creare la ricchezza in generale, e, come determinazione, esso ha cessato di concrescere con gli individui in una dimensione particolare. […] Così l’astrazione più semplice che l’economia moderna pone al vertice e che esprime una relazione antichissima e valida per tutte le forme di società, si presenta tuttavia praticamente vera in questa astrazione solo come categoria della società moderna.”

Questo salire dal concreto all’astratto, questa operazione di pulitura – di semplificazione ma anche di comparazione – e insieme di oggettivazione delle varie categorie tratte dall’osservazione e dalla ricerca, questo lavoro d’attenta analisi che parte dal dato di fatto dell’oggi fino risalire a ritroso nel corso della storia alle prime forme di comunità, non è che una parte del metodo dialettico, è soltanto il mezzo necessario al teorico dialettico per compiere l’altra, e più importante, fase della ricerca, quella della sintesi di queste astrazioni a sistema che possa dare conto, risalendo dalle generiche astrazioni al concreto dell’attualità, di tutti i passaggi storici, delle casualità, dei perché si sia giunti al nostro mondo attuale.

Da qui si tratterebbe poi di intraprendere di nuovo il viaggio all’indietro, fino ad arrivare finalmente di nuovo alla popolazione, ma questa volta non come a una caotica rappresentazione di un insieme, bensì come a una totalità ricca, fatta di molte determinazioni e relazioni. […] Il concreto è concreto perché sintesi di molte determinazioni, quindi unità del molteplice. Per questo nel pensiero esso si presenta come processo di sintesi, come risultato e non come punto di partenza, sebbene esso sia il punto di partenza effettivo e perciò anche il punto di partenza dell’intuizione e della rappresentazione. Per la prima via la rappresentazione concreta si è volatilizzata in una astratta determinazione; per la seconda, le determinazioni astratte conducono alla riproduzione del concreto nel cammino del pensiero. […] La totalità come essa si presenta nella mente quale totalità del pensiero, è un prodotto della mente che pensa, la quale si appropria il mondo nella sola maniera che gli è possibile, maniera che è diversa dalla maniera artistica, religiosa e pratico-spirituale di appropriarsi il mondo. Il soggetto reale rimane, sia prima che dopo, saldo nella sua autonomia fuori della mente; fino a che, almeno, la mente si comporta solo speculativamente, solo teoricamente. Anche nel metodo teorico, perciò, la società deve essere sempre presente alla rappresentazione come presupposto.

Nel §.4 delle sue Lezioni sul diritto naturale e la scienza dello Stato -conosciute anche come la Filosofia del diritto di Heidelberg, dove effettivamente furono tenute queste lezioni nel 1817/1818-, Hegel scrive: “Quando penso un oggetto, lo rendo un pensato e gli tolgo ciò che ha di sensibile; lo rendo così qualcosa che è immediatamente ed essenzialmente mio: infatti, nel pensare sono presso di me. Elaborare il concetto significa penetrare l’oggetto, che non è più qualcosa di contrapposto a me, perché gli ho tolto ciò che, per sé, a me si oppone... dice lo spirito «questo è spirito del mio spirito» e l’estraneità è dissolta. Ogni rappresentazione è una generalizzazione e quest’ultima appartiene al pensare. Pensare qualcosa significa renderlo generale [...] Questo è l’atteggiamento teoretico”. 

Insieme dovrà dare conto della validità dell’ipotesi di partenza e, confermare allo stesso tempo, la verità e la comprensione, stavolta reale, fatta propria, sussunta nel pensiero, conosciuta, della realtà del mondo.

Una realtà che è sempre la stessa dell’inizio della ricerca, partenza e arrivo di un percorso lungo e difficile che è quello della comprensione: “La società borghese è la più complessa e sviluppata organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di penetrare al tempo stesso nella struttura e nei rapporti di produzione di tutte le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è costruita, e di cui si trascinano in essa ancora residui parzialmente non superati, mentre ciò che in quelle era appena accennatosi è sviluppato in tutto il suo significato ecc. […] L’economia borghese fornisce così la chiave per l’economia antica ecc. […] La cosiddetta evoluzione storica si fonda in generale sul fatto che l’ultima forma considera le precedenti come semplici gradini che portano a se stessa […] l’economia borghese è giunta a intendere quella feudale, antica e orientale, quando è cominciata l’autocritica della società borghese". 

Note:                                                                                                                                                                                      

(1) Al centro del pensiero bullionista (XVI secolo) si pose la convinzione che la ricchezza fosse rappresentata dalla moneta a disposizione delle casse statali, ossia dall'oro. L'afflusso di metalli preziosi dalle Americhe conferiva una grande ricchezza agli Stati europei che, mediante le casse del governo, potevano così permettersi opere altrimenti impensabili. Agli occhi di un funzionario di governo la potenza di uno Stato era misurata dal tesoro a disposizione per comprare navi da guerra o mercantili, pagare soldati e finanziare opere pubbliche e monumenti, guerre. Senza l'oro tutto questo non era possibile. L'ottica dei bullionisti era pressocché simile a quella della precedente economia domestica, l'unica differenza fu la scala con cui si osservavano i fenomeni economici, non più della casa ma della nazione. 

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