martedì 21 settembre 2010

Sul partito






Comunisti oggi
Il Partito e i suoi fondamenti teorici

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Un partito che non si limiti a darsi obiettivi di corto respiro e che non voglia adeguarsi, opportunisticamente, alle oscillazioni dell’opinione pubblica, ma che proponga, invece, una conseguente alternativa generale ai problemi, contraddizioni e crisi della società presente, non può assumere concezioni preconcette né decretate semplicemente dalla sua dirigenza, ma deve affidarle ad analisi teoricamente consistenti, elaborarne le conseguenze politiche e sottoporle costantemente a verifica: deve, insomma, assicurarsi il continuo rinvio dall’agire politico alla riflessione teorica e di questa, di nuovo, alla pratica politica.
Se non operasse in questo modo, il partito non corrisponderebbe al particolare ruolo storico della classe che pur pretende organizzare: la “missione storica della classe lavoratrice”.

Il mutamento del sistema sociale è un compito politico, che richiede un partito. Il quale, anticipando la coscienza delle masse, contemporaneamente opera acchè tale coscienza, mano a mano, si sviluppi e consolidi mediante l’elaborazione organizzata dell’esperienza in e con la società presente, al fine di tradursi, poi, in comportamento politico: un tale partito costituisce l’avanguardia di classe, il portatore del progresso sociale.

Lo sviluppo della coscienza di classe è il compito di un partito comunista. Esso è l’organizzazione che vede nella lotta politica la lotta di classe e la dirige.
La coscienza di classe include concezioni teoriche e con ciò non intendo un sapere accademico, bensì la conquista d’una comprensione della storia e della società, che rende intelligibili le linee fondamentali ed i fronti di lotta della politica.
Il partito comunista deve sviluppare al proprio interno forme di vita, che generino questa unità di conoscenza, atteggiamento e comportamento. I comunisti possono essere l’avanguardia combattiva della società, se riescono ad essere anche la sua avanguardia teorica.
Com’è inevitabile, un tale equilibrio non si crea automaticamente.
La dirigenza del partito deve impegnarsi nella formazione teorica e produrre materiale a questo scopo, deve stimolare la discussione interna e deve dare spazio al contributo della base per l’elaborazione tattica e strategica: il trasferimento alla base della linea politica centrale non deve ostacolare l’iniziativa periferica, perché la presenza del partito inizia nel territorio e nel singolo luogo di lavoro; la stessa coscienza di classe potrà svilupparsi, solo se le esperienze e gli interessi dei singoli territori e dei singoli luoghi di lavoro, da contenuti primari di esperienza si evolveranno in coscienza della società in generale e della prospettiva storica. Nessuna efficace azione politica è possibile in violazione di tali condizioni.
I comunisti debbono verificarsi nella mediazione dialettica di particolare e generale: ciò che definisce l’avanguardia non è la sua capacità di comprendere meglio sulla base di una migliore teoria e visione del mondo; bensì piuttosto, la capacità di battersi meglio e con maggiore lucidità sul fronte della vita quotidiana – lucidità che, per latro, è legata al possedere una visione dell’insieme.
La garanzia statutaria di una democrazia di partito che si costruisca dalla base è importante nella stessa misura, in cui lo è l’esistenza di militanti che si impegnino nel lavoro di partito, nella formazione teorica e, sulla base di ciò, nella partecipazione ai processi decisionali che lo riguardano.
È del tutto comprensibile la tendenza a delegare ad una dirigenza di cui ci si fida le decisioni di partito, invece che partecipare ad esse. In questo modo, però, si giunge ad un irrigidimento della vita di partito ed alla costituzione di una unidirezionale struttura di comando, anche quando la dirigenza del partito non vorrebbe cedere alla ricerca di forma semplificate di direzione: la dialettica del movimento dall’alto verso il basso e viceversa ha bisogno che ci si impegni per la sua realizzazione, chiama in causa, dunque, il senso d responsabilità dei comunisti nei confronti del partito a cui aderiscono: senso di responsabilità da cui non bisogna demordere, quali che siano le difficoltà che possa comportare. Solo a questa condizione, la necessaria disciplina di partito è una forza e non un impedimento.

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1 - Il partito è responsabile della verità della teoria, contro ogni forma di opportunismo, di irrigidimento dogmatico e di mèro, scolastico indottrinamento.
Il partito deve darsi forme organizzative, che consentano ai militanti di stabilire una relazione diretta ed autonoma con i presupposti teorici e i fondamenti della visione del mondo del socialismo scientifico. (riviste e bollettini di discussione, conferenze, gruppi di studio, seminari ecc.)
Non si dimentichi l’importanza che, per il movimento politico dei lavoratori, ha la tradizione di iniziative collettive per la formazione culturale: a suo tempo rappresentò una forza per la socialdemocrazia tedesca il fatto di appoggiarsi ad una consapevole e diffusa attività culturale tra la classe lavoratrice.
La discussione teorica, la verifica critica ed il confronto di pensieri e opinioni devono essere assicurati dagli statuti del partito e divenire effettiva pratica della sua vita interna.
Presupposto di una discussione ampia utile e capace di riflettere teoricamente la situazione esistente è il serio apprendimento dei concetti fondamentali e dei metodi del materialismo storico e dialettico. Il partito non è il luogo di un pluralismo di visioni del mondo, ma di una varietà di sviluppi della teoria, sotto il profilo scientifico e pratico-politico, che possono essere controversi, pur avvenendo sulla base di una comune visione del mondo.
2 – Un partito non è eminentemente uno spazio di discussione, ma un’organizzazione volta all’agire politico: il che implicita che sia capace, in tempi determinati, di prendere decisioni.
Come organizzazione della lotta di classe ed in quanto minoranza, posta nella difficilissima condizione di avanguardia attiva, il partito non può spezzettare la propria attività nella forma di molteplici, distinte correnti: una funzione del lavoro teorico è, anche, quella di unificare le volontà. Ciò significa, che nel momento della decisione, le possibili divergenti opinioni di singoli o di gruppi non possono permanere nella loro autonomia: se la verità storica si realizza (come cercheremo di mostrare) nella forma organizzativa del partito, allora la disciplina di partito è un momento della verità e, dunque, quella disciplina non costituisce una categoria sociologica, bensì epistemologica; ciò è vero anche nel possibile caso, in cui le conoscenze del singolo siano più avanzate del livello di coscienza raggiunto dal partito nel suo complesso.
Il partito non può, nella valutazione della realtà, essere oltre il livello di coscienza dell’insieme dei suoi membri. (Perciò il lavoro teorico è così importante per la realizzazione del ruolo d’avanguardia del partito).
D’altra parte, le crescenti conoscenze acquisite dai suoi membri (anche singoli), se inserite nelle discussioni teoriche interne del partito, ne elevano il livello.
Insomma, l’istituzionalizzazione della formazione e del dibattito in ambito teorico e di visione del mondo è una componente imprescindibile per la vita organizzativa del partito.
Di qui deriva con tutta evidenza l’opportunità che i compagni non si organizzino l’uno contro l’altro in frazioni e piattaforme, bensì insieme lottino per conoscenze corrette.
(Ciò vale, anche, per il clima stesso dl confronto d’opinione: se l’obiettivo è la ricerca della verità, inviolabile è il diritto all’errore e chi – secondo gli altri compagni o la loro maggioranza – è in errore, non va per questo diffamato; il diritto all’errore, tuttavia, non è diritto al frazionismo o alla dissidenza). 
3 – Il partito può adempire alla sua funzione d’avanguardia se non abbandona l’unità delle sue concezioni politiche: solo a questo patto, esso ha la forza di convincere altri.
4 – Un altro punto auto-evidente, è che l’organizzazione di un partito politico non può basarsi sulla decentralizzazione: un partito non è il luogo, in cui si coordinano distinti gruppi d’interesse, regionali placali, che siano; e ciò vale al massimo grado per un partito comunista, perché la sua unità si sostanzia nella comunanza delle posizioni teoriche e politiche: la centralizzazione della direzione politica è l’espressione organizzativa di questa unità di idee. D’altronde, la direzione centralizzata è legittimata solo se le decisioni vincolanti, da essa prese (perché è la solo autorizzata a farlo) e valide per tutto il partito, risultano da un continuo processo di discussione e scambio di opinioni ed esperienze, che coinvolge la base del partito.
La forza della direzione deve corrispondere alla forza della base ed i comunisti debbono essere riconoscibili per la serietà ed ampiezza del loro impegno.
Ciò non significa, sia chiaro, che essi debbano esser semplicemente mobilitati e lasciarsi comandare in questo senso; piuttosto significa che i comunisti hanno da partecipare costantemente allo sviluppo del partito – e non solo in occasione dei Congressi, ma nella sua vita quotidiana -, in modo che per la coscienza del militante impegnarsi od essere impegnato all’interno della strategia centrale siano una ed una stessa cosa.
Un partito ha da esser centralizzato se vuol essere capace di azione politica, e può essere democratico solo se l’attivazione della base costituisce l’elemento vitale della sua organizzazione e quando fra l’impegno alla base e l’attività del partito nel suo complesso vi sia una continua medizione, data o dal sistema organizzativo o dalla diretta comunicazione.

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1 – Il carattere

È fuori discussione il significato della teoria per una strategia comunista conseguente. Senza una comprensione teorica della situazione in cui si agisce, le azioni restano spontanee e limitate agli interessi particolari ed alle relazioni emozionali dei gruppi, che al momento operano.
Descrivere una situazione e indicare le decisioni da prendere e le finalità da perseguire fan tutt’uno nella teoria, posto che quest’ultima può essere – essa stessa – un momento interno alla prassi. Appunto questa unità consente una conoscenza, che si verifica e corregge nella pratica.
Ma che si dia una corretta consapevolezza come elemento di un altrettanto corretto comportamento politico non è partita, che si giochi al livello della conoscenza individuale. La valutazione di una situazione vale come linea di marcia per una organizzazione se, almeno nei tratti fondamentali, è condivisa con piena convinzione dei suoi militanti, tanto da esser pronti ad impegnarsi nella linea politica conseguente.
La teoria non può, dunque, essere decretata dagli “ideologi”, vale a dire dai teorici del partito, ma deve svilupparsi ed approfondirsi all’interno del partito stesso. In questo senso, ogni attivista di partito è un “intellettuale organico” della classe lavoratrice, come diceva Gramsci.
Una tale discussione teorica e un tale processo di formazione, però, non si svolgono separati dall’azione politica. Nei clubs di discussione, come anche negli Istituti universitari o di ricerca, fioriscono queste o quelle “opinioni”, corrette o false che siano, si elaborano teorie intorno a settori di realtà, sempre allo scopo di conseguire “conoscenze pure”. Ma perché opinioni e teorie possano condurre alla trasformazione rivoluzionaria della vita e della società, è necessario che si integrino nella prassi politica e che vengano continuamente sottoposte alla verifica dell’esperienza politica.
Il partito è il luogo, in cui si realizza questa compenetrazione di teoria e di prassi, nella stessa misura in cui la vita di partito si svolge con l’attiva partecipazione dei militanti; è il luogo, in cui si impara dall’esperienza, si costruisce la teoria, la si modifica e la si collega alla pratica ed in cui dalle generalizzazioni teoriche si ricavano conseguenze politiche.
Per la vitalità di un partito, in quanto organismo che opera politicamente, nulla sarebbe più dannoso che il chiudersi nell’immobilità del dogmatismo.
“Noi non consideriamo, in nessun modo, la teoria di Marx come qualcosa di conchiuso e di indiscutibile; al contrario siamo convinti che essa abbia fornito solo il fondamento della scienza, che i socialisti debbono ulteriormente sviluppare in ogni direzione, se non intendono restare indietro rispetto al corso della vita”. Lenin

Va da sé che forza ed efficacia di una qualunque organizzazione di partito dipendono dal grado di attività dei suoi militanti. Gli statuti di partito e la coscienza che esso ha di sé, spesso, presentano dei “devi”, che si discostano dall’effettivo “è” del partito stesso; quei “devi”, però, all’interno dell’organizzazione di partito, hanno la funzione decisiva di favorire la correzione delle deficienze, di promuovere l’attivizzazione dei militanti, stimolandone il “fattore soggettivo”, cioè la volontà, la coscienza, la disponibilità all’impegno. In particolare, ciò è vero nei periodi di forte crisi e riflusso del partito.
Cercar di promuovere l’impegno pratico degli uomini, certamente, è impresa destinata all’insuccesso, se essi fanno riferimento ad una moralità astratta. La corretta comprensione di una situazione storica, e delle possibilità che essa offre, è la premessa di un’azione destinata al successo: chiamare all’impegno per uno scopo determinato, pretende che quello stesso scopo venga mostrato come obiettivo realistico e non utopico; in altri termini, esso deve avere a supporto un’analisi esauriente e penetrante della situazione di fatto e deve collegarsi ad una concezione strategica realistica. Ovviamente, ciò non esclude la possibilità di errori (nessun abbozzo teorico può essere perfetto), che il partito è chiamato a correggere. Comunque, questo è un motivo in più a favore di una continua discussione interna al partito – basata sulle esperienze acquisite – a proposito della comprensione che si ha della situazione politica e per far sì che questa metta effettivamente radici nella coscienza dei militanti: il lavoro teorico appartiene all’attività politica.
Con questa concezione, il partito si colloca nella tradizione della Terza Internazionale, dunque, all’interno della concezione leninista di un partito, che punta ad un’attività politica né spontaneistica né puramente pragmatica, bensì piuttosto basata su una chiara visione dei complessivi e contradditori processi sociali, sulla sicura intelligenza delle leggi e forze motrici della storia.


Stefano Garroni

Se partiamo dall’importanza della teoria nel partito e dalla convinzione che la teoria è un momento della prassi, e che dunque non esistono gli “specialisti” della pratica, è chiaro che il nodo delle caratteristiche di un militante diviene una questione di tutto rilievo.
Compito dell’organizzazione è infatti quello di dare tutti gli strumenti ai militanti per rapportarsi direttamente ai problemi teorici e politici che si pongono senza mediazioni “superiori”.
Questo significa che la maturità soggettiva di un appartenente al partito è una caratteristica fondamentale se si vuole superare il partito di massa inteso come strumento di gruppi dirigenti magari in conflitto tra di loro.
Solo così è possibile ricostruire, rifondare, effettivamente un partito che abbia un minimo di condizione per poter evitare le deviazioni, dogmatiche od opportuniste, che continuamente la realtà gli pone di fronte oggettivamente.
Da qui consegue che la teoria è necessariamente legata alla prassi e dunque all’agire politico complessivo. Non si dà perciò un partito che non colleghi questi due elementi e che invece privilegi il pluralismo e il confronto di opinioni fine a se stesso. Dibattito politico, teorico e agire politico sono dunque elementi fondanti che però da soli evidentemente non garantiscono l’omogeneità ed il superamento delle contraddizioni interne che inevitabilmente si presentano nel corso degli eventi politici.
Qui entra in ballo la questione della democrazia nel partito che è una questione alla quale va risposto in modo molto più organico e approfondito di quanto possiamo fare ora.
Ci limitiamo invece a seguire una riflessione di Holz che ci sembra importante.
Innanzitutto il centralismo democratico, cioè la possibilità concreta dell’intervento del partito nella realtà in modo unitario, è salvaguardato in quanto momento della verità, in altre parole l’azione unitaria permette a tutti di verificare nella prassi le scelte giuste e quelle sbagliate e dunque di arrivare alla “verità” nel senso della comprensione delle cose.
Garantito questo elemento, è chiaro che non è affatto detto che la contraddizione emersa si risolva o che si risolva nei tempi necessari.
Va trovato un metodo che permetta in modo positivo questa risoluzione. Spesso la strada percorsa nei confronti interni è stata quella delle piattaforme contrapposte o, addirittura, della rottura organizzativa. L’autore invece propone un’altra strada che sembra convincente.
Se facciamo un passo indietro verso le pagine precedenti al punto in cui si è affrontata la questione della “necessità interna” del processo storico e dello sviluppo della realtà si è detto che per il borghese affermare la verità significa esporre il proprio punto di vista in base alla libera scelta sancita dal diritto attuale.
Per i marxisti la realtà invece non può essere enunciata in base ad una propria opinione, ma poiché nella realtà esistono le condizioni per le diverse possibilità del proprio sviluppo, il compito e allora quello dell’analisi oggettiva, della valutazione degli sviluppi possibili impliciti in una determinata situazione e la verifica delle ipotesi scelte.
In altre parole non è determinante l’opinione del singolo militante ma lo studio delle realtà ed un lavoro collettivo che deve arrivare a verifica.
Se questo è vero, è evidente che il metodo che si deve stabilire quando emerge una divergenza non è quello di esprimere le proprie opinioni singole o di frazione ma, se l’interesse strategico è lo stesso, condizione questa preliminare e decisiva, quello di avviare un lavoro carattere teorico-pratico unitario che ripercorrendo in modo analitico le questioni metta in condizione le diverse posizioni di fare una verifica collettiva sugli sviluppi delle posizioni espresse; mantenendo comunque, in base al centralismo democratico, la capacità di iniziativa unitaria sul piano politico.

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